Meloni e la capricciosa menzogna di scrivere a se stessa
Commenti La lettera di Giorgia Meloni è la conferma che il suo partito difende i valori del Msi, quello dei «fascisti in democrazia» per citare l’ossimoro del loro fondatore e riferimento politico, Giorgio Almirante, fucilatore di partigiani e redattore della Difesa della Razza
Commenti La lettera di Giorgia Meloni è la conferma che il suo partito difende i valori del Msi, quello dei «fascisti in democrazia» per citare l’ossimoro del loro fondatore e riferimento politico, Giorgio Almirante, fucilatore di partigiani e redattore della Difesa della Razza
La lettera di Giorgia Meloni è la conferma che il suo partito difende i valori del Msi, quello dei «fascisti in democrazia» per citare l’ossimoro del loro fondatore e riferimento politico, Giorgio Almirante, fucilatore di partigiani e redattore della Difesa della Razza. La rivista che aprì la strada alle mussoliniane leggi razziali antisemite e i cancelli dei lager nazisti. Insomma, difende i valori ereditati dalla repubblichina di Salò.
Meloni minimizza, parla di «copione macchiettistico utile solo al racconto che i nostri avversari vogliono fare di noi». E ci dobbiamo credere? Non sono figuranti di Cinecittà quelli che urlano«duce, duce, duce» e «sieg heil» nelle immagini che abbiamo visto in questi giorni. E nemmeno «tifosi della casertana» come suggerisce Gasparri per buttarla in caciara.
L’inchiesta di Fanpage ha registrato un vero raduno di neofascisti. La presidente del consiglio lo sa e scrive per ribadire indirettamente ai «Carissimi dirigenti di Fratelli d’Italia» quello che abbiamo sentito nell’inchiesta e che del resto loro stessi ripetono in coro: «Dentro non si possono fare né foto, né video», «mi raccomando ragazzi, niente saluti romani» e «facciamo attenzione che ci sono i giornalisti». E magari anche «dovremmo iniziare una lotta attiva contro il giornalismo di merda» come sentiamo dire da Flaminia Pace.
Poi parla anche a noi, agli europei democratici. Ci dice che è «stupido folklore». E per farci credere a questa balla cita a casaccio la risoluzione del Parlamento europeo del 2019. Peccato che dimentichi un particolare. La risoluzione in questione non condanna in maniera generica tutti i mali del mondo, ma«esorta gli Stati membri» a contrastare «i gruppi neofascisti e neonazisti e qualsiasi altra fondazione o associazione che esalti e glorifichi il nazismo e il fascismo». Per esempio quelle macabre manifestazioni che si fanno nell’Ungheria dell’amico Orban. Le manifestazioni che la nostra Ilaria Salis è andata a contestare.
Meloni scrive che «molti di noi» hanno fatto i conti «con il ventennio fascista già diversi decenni fa». Appunto! La risoluzione dice un’altra cosa: bisogna fare i conti con il neofascismo di oggi (dalla strage di piazza Fontana all’assalto alla Cgil) non solo con la marcia su Roma del ’22.
E sempre la risoluzione del 2019 chiede di celebrare il 25 maggio e il 23 agosto come giornate contro il totalitarismo e in memoria delle vittime. Giornate che non si celebrano nel nostro paese che, fortunatamente, almeno celebra la Costituzione che ha tra i firmatari il comunista Umberto Terracini.
Mentre l’onorevole La Russa è firmatario di una legge che istituisce un’altra giornata, cioè quella del “ricordo”. E non per ricordare le vittime del totalitarismo fascista (che non ricordiamo in nessuna giornata… chissà perché?), ma i quattromila morti italiani in Jugoslavia. Certo vittime, ma della stessa nazionalità dell’esercito che aveva invaso la Jugoslavia insieme alla Germania causando più di un milione di morti. E qui si apre il solito pianto vittimista dell’estrema destra.
Giorgia Meloni dimentica di stare al governo da venti mesi insieme a due partiti che non schiodano da anni e che hanno governato tanto quanto gli altri. Una coalizione che controlla almeno quattro giornali e un pezzo importante della Rai oltre a possedere Mediaset.
Ma per Meloni la povera destra riceve «attacchi di ogni genere, senza regole, senza limiti, senza esclusione di colpi». «È un gioco duro, una battaglia difficile, per la quale bisogna essere disposti a molti sacrifici».
I cattivi sono gli altri, ovviamente, e i ragazzi di Giorgia con «la faccia pulita difendono la Libertà nelle scuole e nelle università dalla violenza e dall’arroganza della sinistra», lottano contro «la narrazione fatta dai grandi media e dagli osservatori di parte».
Contro «la palude socialdemocratica europea e occidentale» (la demoplutocrazia?). Contro i «giochi di potere, delle lobby, dei privilegi di pochi sulla pelle dei molti».
Qualcuno c’è cascato o forse ci ha voluto credere. Ma perché? Bastano quattro righe dell’ufficio stampa per azzerare anni di inchieste giornalistiche alle quali si aggiunge questa ultima di Fanpage?
La letterina di Giorgia Meloni non è solo una balla per gli italiani e per gli europei. È anche un messaggio ai suoi. «Noi siamo un capriccio della storia» ripete con orgoglio.
E i suoi hanno già sentito questa frase pomposa. Sta nel video che l’ufficio propaganda spalma sui social da anni. I giovanotti di destra ricordano bene che si tratta di uno slogan pronunciato quando ha difeso la fiamma. Il simbolo che i fascisti in democrazia (e i loro cugini francesi) si trascinano con orgoglio dalla fine della guerra.
Sta dicendo: non vi preoccupate, devo scrivere queste quattro cose perché ci hanno beccato di nuovo con le dita nella marmellata. Serve una verifica? Provate a cercare nel testo e non troverete mai la parola antifascismo.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento