Da Albergo dei Poveri ad hotel a cinque stelle. Gennaro Sangiuliano, il ministro della Cultura del governo Meloni, estrae dal cilindro l’ennesima ipotesi di destinazione d’uso per l’edificio che fu realizzato nel ‘700 su progetto di Ferdinando Fuga per accogliere gli indigenti del Regno dei Borbone. «A breve per l’Albergo dei Poveri – ha annunciato a Napoli nel corso di un convegno sui beni culturali al Centro Belforte – partirà un bando per grandi gruppi alberghieri. Chi lo vincerà potrà ampliare l’offerta di camere».

Stanze per chi soggiorna in città per vacanza, dunque, in una città che sempre più di turismo vive e di turismo muore, a causa della folle impennata dei prezzi degli affitti e dei generi di prima necessità e della drammatica penuria di appartamenti in locazione nel centro storico, dove ormai anche bassi e locali di 40 metri quadrati diventano bed and breakfast e case vacanza e dove si susseguono scadenti negozi di souvenir e locali che vendono pizze fritte e focacce.

Gli alberghi, secondo Sangiuliano, potrebbero trovare spazio in una porzione dell’enorme edificio – 140.000 metri quadrati – e convivere con altre destinazioni d’uso dell’immobile. «L’Albergo dei Poveri – si è infervorato – sarà la più grande infrastruttura culturale d’Europa, basti pensare che è più grande del Louvre». Ha fatto riferimento anche ad un immaginifico “giardino delle idee”. Di che si tratta? Si è mantenuto sul vago: «Un luogo dove i giovani potranno incontrarsi».

QUELLA DI SANGIULIANO relativa agli alberghi, peraltro, non è che l’ultima di una serie di dichiarazioni d’intenti le quali si sono susseguite negli ultimi trent’anni e che finora hanno prodotto risultati pari a zero, perché l’Albergo dei Poveri – affaccia su via Foria, non lontano dall’Orto Botanico e dalla stazione centrale di Napoli – resta un cantiere ed è poco o per nulla utilizzato, ad oggi, dalla città, con l’eccezione di un piccolo spazio per le docce dei clochard caparbiamente strappato alcuni anni fa all’amministrazione de Magistris dalla tenacia del comboniano Alex Zanotelli.

Il viaggio tra le promesse disattese inizia negli anni Novanta del secolo scorso. Francesco Lucarelli, scrittore e giurista, insieme al soprintendente Mario De Cunzo, all’urbanista Ugo Carughi e ad altri si fa promotore dell’inserimento del centro storico di Napoli nella lista dell’Unesco.

Spunta anche un progetto per il Real Albergo dei Poveri. Prevede la creazione nel palazzo di un centro di arti e mestieri e di un’area museale. Dovrebbero essere realizzati laboratori destinati ai maestri del ferro e del legno dal livello interrato fino al primo piano. Al secondo piano si immagina che gli artigiani abbiano a disposizione un’area espositiva molto ampia per mettere in mostra i loro prodotti originali. Più sopra è disegnata la zona museale e, proseguendo verso l’alto, il progetto propone un’area informatica, sale per mostre e convegni, aule destinate a scuole di musica, laboratori di fotografia, corsi di formazione nel teatro e nel cinema, musei delle arti visive e fonetiche. Nulla di tutto ciò sarà mai realizzato dal Comune, che è il proprietario dell’immobile.

SECONDA TAPPA del libro dei sogni: il 2005. La sindaca di Napoli è Rosa Russo Iervolino, l’ex ministra degli Interni. Nell’ex Albergo dei Poveri va in scena la «Città dei Giovani». Informa una nota dell’epoca dell’amministrazione comunale: «Non avrà uguali per dimensione e rilevanza del contenitore, per varietà delle attività previste, per l’accessibilità del luogo. Intorno alle grandi corti del Real Albergo dei Poveri sarà possibile frequentare corsi di studio universitari o di specializzazione, fare teatro, musica, andare al cinema, accedere ad alloggi e atelier a prezzo contenuto, imparare un lavoro, fare sport, avere informazioni e accedere a servizi di assistenza per lo studio e il lavoro, trovare chi ha voglia di ascoltare, incontrare altri giovani provenienti da altri paesi».

Il 28 gennaio di 19 anni fa la giunta approva «il masterplan per la realizzazione del progetto». La Città dei Giovani, tuttavia – qualunque cosa volesse significare – resta un sogno. Negli anni successivi proseguono gli interventi di restauro dell’edificio – attualmente sono ultimati al 30% circa – e la struttura ospita saltuariamente alcuni eventi. Nel 2012, per esempio, arriva tra le polemiche la mostra di von Hagens con i suoi cadaveri trasformati dalla plastinazione.

NEGLI ANNI SEGUENTI si moltiplicano gli appelli per realizzare nell’edificio un ricovero diurno e notturno per i senza fissa dimora, ma non se ne fa nulla, e nel 2017 fa capolino perfino l’ipotesi, presto tramontata e peraltro di ardua fattibilità, di vendere l’immobile ai privati. Arriva il Covid e poi nel 2021 ecco i fondi del Pnrr. Per il Real Albergo dei Poveri oltre 100 milioni di euro. Riparte la fabbrica delle idee e dei progetti. L’otto marzo 2023 il ministro Sagiuliano e Gaetano Manfrdei, il sindaco di Napoli, siglano il protocollo d’intesa «per la valorizzazione e la rigenerazione urbana del Real Albergo dei Poveri e dell’ambito urbano Piazza Carlo III, via Foria, Piazza Cavour».

RITORNA L’IDEA del «centro culturale multidisciplinare e polifunzionale». Nella struttura dovrebbero trovare spazio il Museo archeologico nazionale, «con la creazione di nuovi spazi espositivi per le collezioni permanenti e per l’allestimento di mostre temporanee»; l’Università degli Studi di Napoli Federico II «allo scopo di offrire opportunità formative permanenti per i giovani e qualificare il tessuto umano della zona»; la Biblioteca nazionale di Napoli, «attraverso la creazione di una biblioteca-laboratorio innovativa anche digitale intesa come spazio di sperimentazione di linguaggi creativi della cultura, di apprendimento permanente e di produzione culturale destinata in special modo ai giovani e intesa soprattutto come luogo di incontro dinamico, come polo culturale di nuova generazione e di respiro internazionale».

Ci sono pure le imprese, «con lo scopo di realizzare nel Real Albergo dei Poveri attività economiche importanti per la sostenibilità della struttura e per lo sviluppo culturale e turistico del territorio». Manfredi è ottimista: «Riapriremo l’edificio alla città nel 2026». I precedenti inducono alla cautela e forse anche agli scongiuri.