Aiutarli. Aiutare però a portarli nei commissariati, nelle caserme delle polizie. Nei loro commissariati, nelle loro caserme. A Tripoli, in Libia. O ad Erevan, Armenia, dove “le torture sono perpetrate in completa impunità”, come scrive il rapporto dell’anno scorso di Human Rights Watch. O a Baku, Azerbaigian, dove “i maltrattamenti in custodia sono dilaganti”. E via dicendo.

Aiutarli. Viene definito così il compito che si è assegnato la nuovissima Accademia europea di polizia, che fino a ieri si chiamava Cepol. Fornirà assistenza e “formerà personale” ad una lunga serie di paesi, quasi tutti nell’elenco delle nazioni sotto accusa per violazione dei diritti umani. Armenia, Azerbaigian, Libia, si sono detti, poi Marocco, Egitto e tanti, tanti altri.

A loro, fornirà l’addestramento più inquietante: formazione per “tecniche segrete nelle telecomunicazioni mobili”. Senza tanti giri di parole, com’è evidente: L’Europa addestrerà quelle polizie a spiare.

Tutto è avvenuto nel giro di pochissimo tempo. Fra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno è stato varato, dagli uffici competenti del vecchio continente, un “piano d’azione operativo” che avrebbe dovuto occuparsi solo di un coordinamento delle polizie per far fronte agli attacchi informatici.  Piano distribuito poche settimane fa ai vari governi. Con una singolare coincidenza: l’hanno inviato quasi in contemporanea alla denuncia del “difensore civico” di Bruxelles che ha lamentato la superficialità con la quale l’Europa fornisce a paesi africani ed asiatici strumenti tecnologici che poi vengono usati per la sorveglianza di massa, per colpire i dissidenti. Per gestire, nel più completo arbitrio le frontiere.

La redazione consiglia:
L’Ue vende tecnologie all’Africa disinteressandosi dei diritti umani. La denuncia dell’ombudsman europeo

Pochissimo tempo dopo quella denuncia, è arrivato il piano operativo per la sicurezza informatica. Piano che contiene tante cose. Si parla di formazione, di addestramento che l’Accademia europea potrà fornire per scongiurare i cyber attacchi. Nell’elenco dei beneficiari c’è anche l’Autorità palestinese e c’è l’Ucraina. Un normale sostegno di conoscenze a quei paesi per evitare che le loro infrastrutture digitali siano paralizzate. Ma nello stesso documento, c’è anche il capitolo incriminato, sul quale nessun governo europeo ha avuto da ridire.

Nessun esecutivo del Consiglio ha sollevato anche solo un dubbio. Così, il piano – già operativo – prevede testualmente che la nuova Accademia insegni alle polizie libiche, armene, della Georgia, marocchine, algerine, egiziane, moldave, “tecniche segrete in telecomunicazioni mobili e scienze forensi”. Quest’ultima strana ed incomprensibile definizione allude probabilmente all’insegnamento su come cercare – e inventare? – prove su eventuali crimini.

Nell’elenco dei paesi va ricordato a parte l’Azerbaigian. Dove il compito degli agenti-insegnanti si presenta comunque molto più facile, visto che il paese è già tanto, tanto avanti nella sorveglianza illegale e nelle intercettazioni telefoniche.

Non a caso, poco tempo fa, si è scoperto che il governo faceva spiare oltre mille fra giornalisti e dissidenti, utilizzando l’ormai famoso software Pegasus.

La redazione consiglia:
Pegasus, cyberspionaggio globale contro dissenso e giornalisti

Qualcuno – non i governi – ha provato a sollevare il caso. Ad essere più precisi, qualcuna, una sola deputata di Strasburgo: Clare Daly, irlandese, della Sinistra europea-Gue. Ha chiesto a Catherine de Bolle, direttrice esecutiva dell’Europol, il coordinamento delle polizie europee, come sia possibile che si pensi a collaborazioni simili, con paesi all’indice per la violazione dei più elementari diritti umani. Ha chiesto come sia possibile collaborare, fornire strumentazione e saperi così sofisticati, per esempio, alla “squadra antiterrorismo libica” che sanno tutti “essere una banda di torturatori, collegata alle reti di schiavisti”.

La risposta è stata forse ancora più inquietante del “piano”. “Valuterà l’Europa – ha detto – cosa è possibile fare e cosa no, nazione per nazione. Valuteremo ogni singolo caso, in un dialogo con i paesi”.

Qualcuno, in questo caso molti, si è fatto rassicurare dalle generiche parole della de Bolle. Non l’Edri, l’organizzazione europea a difesa dei diritti umani e digitali: “Se quella è una risposta – scrivono – c’è poco da essere ottimisti”.  Con un’Europa che continua ad esportare il peggio di sé.