Jean Luc Mélenchon, la vera sorpresa della presidenziali francesi, divide la sinistra italiana. Agita il Pd, che da anni si interroga senza successo sulla propria scarsa penetrazione tra i ceti popolari, le periferie urbane e i giovani, gli strati sociali dove il candidato francese ha avuto un boom. E scuote anche il mondo della sinistra radicale diviso tra chi, come Rifondazione, vorrebbe replicare il modello di una sinistra alternativa e chi, come Nicola Fratoianni, invita a «evitare di scopiazzare» il fenomeno francese.

In casa Pd si segnala la rapida retromarcia di Enrico Letta. A botta calda aveva inserito Mélenchon in un asse anti-sistema con l’estrema destra di Le Pen e Zemmour , definendoli «i partiti che in passato hanno espresso grande sintonia con Putin». Poi con un tweet ieri ha corretto il tiro: «È uno sbaglio equiparare Mélenchon e Le Pen o pensare che i voti del primo siano antieuropei come quelli della destra. Ho solo detto che entrambi sono stati dalla parte di Putin. Ma Mélenchon ha attirato voti che cercavano una sinistra radicale. Che chiedono un’Europa più sociale. Ma che non vogliono certo l’Ue orbaniana».

Letta, che ha vissuto diversi anni in Francia, spiega di essere arrivato alla conclusione che «Mélenchon dia una impressione di sé più antisistema e antieuropea di quanto non lo sia l’elettorato che lo vota». «A Parigi centro- ha detto in un’intervista a HuffingtonPost – prende voti dove alle amministrative li conquistavano i socialisti. L’euroscetticismo non mi sembra il dato prevalente». Quanto alla possibilità che i voti di sinistra vadano a Le Pen aggiunge: «Parliamo di un elettorato antifascista che sui grandi temi è contro Le Pen».

Il leader Pd dunque, parlando di come Macron e Mélenchon hanno prosciugato i socialisti francesi, spiega la sua ricetta per evitare lo stesso esito in Italia: «Io lavoro a un Pd solido e radicato che prova a tenere insieme tutto il centrosinistra. Per ricostruire una sinistra che sul disagio sociale e sull’inquietudine sappia trovare parole credibili, serie ma empatiche, non di facciata. Il Pd ha un futuro se riesce a tenere insieme le istanze espresse da Macron, Mélenchon e dai socialisti, se sa essere un partito di massa».  Una linea di equilibrio, Macron “ma anche” Mélenchon, che è un po’ nel dna del Pd, nato come partito che ambiva a rappresentare tutto il centrosinistra.

Una linea contestata con forza da Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione. Che spiega: «La sinistra in Italia non ha il successo di Mélenchon perché sta alla corte del Pd, è una sinistra ornamentale, il contrario di quello che hanno fatto i compagni in Francia. Loro, con un programma radicale di sinistra, ecologista, pacifista e con una netta opposizione alle riforme di Macron su lavoro e pensioni, hanno saputo parlare ai ceti popolari e ai giovani. E per fortuna, altrimenti l’unica a dare voce al disagio sociale sarebbe stata Le Pen».

Acerbo si dice convinto che «quel modello si possa replicare anche in Italia». «Ci stiamo lavorando, con Potere al popolo, con De Magistris, in Calabria alla regionali abbiamo preso il 17%. Serve un progetto unitario, molto radicale, che parta da una netta rottura col Pd neoliberista e guerrafondaio. In Italia si è diffusa troppa rassegnazione, si è pensato che fosse impossibile». L’ex sindaco di Napoli come Mélenchon italiano? «Ha una storia coerente e pulita, è un ottimo comunicatore».

Scettico Fratoianni: «Il nostro sistema politico non è paragonabile a quello francese, abbiamo già visto che importare modelli stranieri non funziona. Meno che mai se questo ci spinge a lanciare l’ennesimo contenitore». Quale lezione arriva da Parigi? «Il risultato di Mélenchon ci dice che è possibile non rassegnarsi a proposte sbiadite in nome del realismo. Che su lavoro e disuguaglianze funzionano anche proposte nette, in grado di andare alla radice dei problemi. In pratica, che la sinistra funziona se fa il suo mestiere. E che alla fine paga un lungo lavoro di insediamento nei conflitti e nei movimenti».