Letta: è secessione mascherata. Renzi si smarca ma viene smentito
Autonomia rafforzata Il Pd si risveglia dopo il torpore, il sottosegretario Bressa, 'accusato' di aver firmato l'accordo nelle segrete stanze, rivela: la trattativa inizia nel maggio 2016
Autonomia rafforzata Il Pd si risveglia dopo il torpore, il sottosegretario Bressa, 'accusato' di aver firmato l'accordo nelle segrete stanze, rivela: la trattativa inizia nel maggio 2016
L’autonomia rafforzata chiesta da Lombardia, Veneto e Emilia Romagna è «una secessione mascherata», «una bandiera elettorale», tanto più pericolosa perché «trasversale a tutte le forze politiche», «Il Sud viene abbandonato. E il dramma è che non ci si salva andando ognuno per conto suo. È la fine di ogni progettualità di progresso».
È una bocciatura senza appello quella di Enrico Letta, pronunciata ieri a margine della presentazione romana del suo libro «Ho imparato (Il Mulino). Poco a poco, dopo un tempo di reazione lunghissimo, l’autonomia rafforzata scatena la polemica anche dentro il Pd. Il guaio è che il Pd all’anagrafe risulta uno dei padri, forze inconsapevoli, del pericoloso pasticcio di questi giorni, trasformatosi in breve nello storico cavallo di battaglia della Lega.
Ieri anche Matteo Renzi ha criticato gli accordi proposti dalle tre regioni. «Non ho mai apprezzato quel disegno e di conseguenza rispetto il percorso che stanno facendo, ma è un percorso che non ho fatto e non avrei fatto. È un tema che si pone non da oggi, è una discussione aperta col governo Gentiloni, non con quello Renzi», ha detto alla presentazione del suo libro «Un’altra strada» (Marsilio), a Bologna, a casa del democratico Stefano Bonaccini, uno dei tre presidenti di regione che chiedono l’autonomia. Bonaccini prova a scansare le accuse più gravi, che del resto in questi giorni gli piovono da ogni parte. «Non chiediamo un euro in più di quello che già oggi spende lo Stato, né vogliamo togliere alcunché ad altri», replica, «ma pretendiamo di essere messi nelle condizioni di fare bene e fare meglio, visto che siamo regione virtuosa, con i conti in ordine e capace di garantire servizi di qualità. Nel rispetto della Costituzione».
Ma a stretto giro a Renzi arriva una replica ben più pesante. È la smentita di Gianclaudio Bressa, l’ex sottosegretario per gli affari regionali dei governi Renzi e Gentiloni, indicato come l’uomo che, nelle segrete stanze, il 28 febbraio 2018, a governo ormai dimesso, ha firmato il preaccordo con le regioni, lontano da occhi indiscreti. «L’intera trattativa è cominciata il 16 maggio del 2016 con una lettera dell’allora ministro Enrico Costa, quindi in pieno governo Renzi», puntualizza Bressa.
Come la bella addormentata nel bosco, il Pd si sveglia dal lungo sonno e criticail progetto di autonomia rafforzata. Dopo giorni di silenzio anche Nicola Zingaretti bocciato gli accordi: «Solo ipotesi non chiare, francamente non si capisce. Si parla molto per ipotesi ma è tutto fatto con un metodo non trasparente», dice, «Il modello di autonomia al quale dobbiamo pensare, e lo dico da presidente della seconda regione italiana per Pil, è quello che non trasformi le Regioni in grandi Comuni che gestiscono tutto e non releghi i Comuni a un ruolo marginale». Ma se le cose non gli sono sono chiare, basterebbe farsele spiegare da Bonaccini, che è il suo grande elettore in Emilia Romagna.
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