L’eterno secondo (anche futuro) rassicura la base ma anche i renziani
Maurizio Martina Allergico a stare in minoranza, è fassiniano quando Fassino è segretario dei Ds, poi cooptato da Veltroni segretario Pd. Si avvicina a Bersani, quando Bersani diventa segretario. Nel 2013 sostiene Cuperlo e lì arriva il vero salto della sua traiettoria politica: Renzi
Maurizio Martina Allergico a stare in minoranza, è fassiniano quando Fassino è segretario dei Ds, poi cooptato da Veltroni segretario Pd. Si avvicina a Bersani, quando Bersani diventa segretario. Nel 2013 sostiene Cuperlo e lì arriva il vero salto della sua traiettoria politica: Renzi
Bergamasco, classe 1978, da perito agrario a ministro dell’agricoltura. L’aria modesta del funzionario Pds-Ds-Pd è un travestimento ben riuscito. Maurizio Martina è molto determinato. E politicamente molto disinvolto. Da consigliere comunale di Mornico al Serio (meno di 3mila abitanti) a segretario dei Ds della Lombardia e poi del Pd della stessa regione il salto è grande, quasi come quello da consigliere regionale a ministro.
Allergico a stare in minoranza, è fassiniano quando Fassino è segretario dei Ds, poi cooptato da Veltroni quando Veltroni è segretario Pd. Attraverso Filippo Penati si avvicina poi a Bersani, quando Bersani diventa segretario. Alle primarie del 2013 sostiene Cuperlo. Che perde. E lì arriva il vero salto della sua traiettoria politica. Un carpiato. Organizza la corrente «Sinistra è cambiamento» come vagoncino di un treno che porta da sinistra dritto alla carrozza di Renzi. Intanto ha fatto un colpaccio che gli frutta il dividendo politico: appoggia Beppe Sala, ex commissario di Expo, alla corsa da sindaco di Milano.
Nella primavera 2017 si presenta in ticket con Renzi alle primarie e poi diventa suo vicesegretario. Però Renzi non lo prende mai troppo sul serio. Ed è un errore, non il suo più grande. Proprio Renzi scoprirà la stoffa di Martina quando se lo troverà da braccio destro improvvisamente all’altro capo del tavolo del Nazareno.
Il modesto eterno secondo è il più duro nel chiedergli le dimissioni dopo il crollo elettorale del 4 marzo 2018. E a offrirsi, neanche a dirlo, come segretario supplente. Il gruppo dirigente sbandato vede in lui un punto di mediazione fra quelli della resistenza renziana e i pentiti e dissociati del renzismo.
Martina la spunta. Rallenta – come quasi tutti gli altri, tranne Roberto Giachetti – l’indizione del nuovo congresso e riesce a farsi eleggere segretario. Poi – ricalcando le orme di Dario Franceschini – si candida a succedere a se stesso offrendo alla ex nomenklatura renziana la possibilità di riciclarsi in nome dell’unità del partito.
Fra gli iscritti ha raccolto 67.749 voti, il 36,10 per cento. Per il post-primarie c’è chi ha scritto che Zingaretti gli ha già offerto il posto da vice. La smentita del presidente del Lazio è stata vibrante. Ma c’è da scommettere che anche stavolta la sua resistenza fuori dalla nuova maggioranza sarà di breve durata.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento