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L’espulsione istituzionale delle donne afghane dalla sfera sociale

L’espulsione istituzionale delle donne afghane dalla sfera socialeA passeggio su una strada commerciale di Herat – Ap

L'allarme degli esperti delle Nazioni unite Con le politiche dei Talebani niente educazione né sanità, né libertà di movimento o di espressione. E «il futuro è nero». Aiuti e fondi bloccati, appello della Croce rossa. Ma la politica latita

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 20 gennaio 2022

I Talebani stanno istituzionalizzando la violenza e la discriminazione contro ragazze e donne. Porta la firma di 36 esperti ed esperte dell’Onu la lettera di due giorni fa con cui vengono condannate le politiche dei Talebani, al potere dal 15 agosto 2021. «Siamo preoccupati degli sforzi, continui e sistematici, per escludere le donne dalla sfera sociale, economica e politica in tutto il Paese», scrivono i firmatari.

Preoccupazioni ancora maggiori «nei casi delle donne che appartengono alle minoranze etniche o linguistiche, come quelle hazara, tagiche, hindu o di altre comunità». Sono diverse le politiche che, direttamente o indirettamente, hanno creato o consolidato barriere per l’accesso delle donne e delle ragazze al sistema sanitario, all’educazione, o che ne hanno compromesso la libertà di movimento, di espressione, di associazione.

SCELTE A VOLTE SIMBOLICHE, ma dagli effetti concreti. Tra cui la chiusura del ministero per gli Affari femminili, la cui sede oggi ospita il ministero per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù; l’occupazione della sede dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission; l’interruzione delle attività degli uffici dedicati all’applicazione della Legge contro l’eliminazione delle donne; la chiusura dei rifugi sicuri; le limitazioni per le lavoratrici nell’ambito umanitario e sociale (tranne quello della sanità e, in parte, dell’istruzione); l’intimidazione verso le donne più attive nella società, giudici, giornaliste, attiviste; gli attacchi, come due giorni fa a Kabul, contro le ragazze che protestano e rivendicano diritti.

OPPURE, ANCORA, IL BANDO sull’istruzione superiore per le ragazze. Ottenuto con uno stratagemma: annunciare la riapertura delle scuole superiori per i ragazzi, senza menzionare le ragazze, alle quali, da ben 125 giorni, viene negata l’istruzione.

La presenza dei Talebani al potere ha avuto riflessi anche nell’istruzione primaria e in quella universitaria. Per le bambine, molto dipende dalle province di residenza. Così, se nelle province di Herat, nell’ovest del Paese, e di Balkh, nel nord, le scuole primarie sono rimaste pressoché operative come prima, nel sud, nella provincia del Kandahar, si è registrato una presenza ridotta al 20%, nella provincia centrale di Ghor al 30%.

LE UNIVERSITÀ PUBBLICHE sono tutte chiuse. Quelle private, circa 130, sono rimaste perlopiù aperte, ma con tassi di iscrizione ridotti in modo significativo. Per ragioni sociali, economiche, psicologiche: a molte studentesse, provenienti dai distretti rurali, non è più consentito andare in città a studiare; molte famiglie non possono più permettersi di pagare le rette; non c’è più speranza nel futuro, le aspettative sono cambiate: si cerca di andar via, non si investe più nell’educazione.

«IL FUTURO È NERO», hanno dichiarato alcune donne ai ricercatori di Human Rights Watch e dello Human Rights Institute della San Jose State University, i quali hanno raccolto interviste nella provincia di Ghazni, tra Kabul e Kandahar, per il rapporto Afghanistan: Taliban Deprive Women of Livelihoods and Identity, reso pubblico due giorni fa. Rapporto che restituisce un quadro significativo dei cambiamenti concreti e che sottolinea come donne e ragazze siano in una tenaglia: da una parte le politiche repressive, violente e discriminatorie dell’Emirato, dall’altra la crisi finanziaria innescata dalle politiche degli Stati uniti e dell’Occidente, che hanno deciso di tagliare i fondi che tenevano in vita le istituzioni afghane. E di limitarsi all’aiuto umanitario.

CHE NON È SUFFICIENTE e non può sostituire i servizi della macchina amministrativa e statuale. Come ribadito da Peter Maurer, presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, e Martin Griffiths, sottosegretario per gli Affari umanitari dell’Onu, in una lettera a 4 mani del 16 gennaio. In cui, ancora una volta, si appellano alla comunità internazionale: lo stallo attuale equivale a una condanna per la popolazione.

MA LA POLITICA LATITA. Specie Washington, da cui molto dipende. Soltanto il senatore Bernie Sanders ha avuto il coraggio di prendere posizione, chiedendo che l’amministrazione Biden scongeli i fondi della Banca centrale afghana. Circa 9,5 miliardi di dollari. Per Sanders, servono «a impedire la morte di milioni di persone».

Errata Corrige

L’allarme degli esperti delle Nazioni unite: con le politiche dei Talebani niente educazione né sanità, né libertà di movimento o di espressione. E «il futuro è nero». Aiuti e fondi bloccati, appello della Croce rossa. Ma la politica latita

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