«L’esplosione della zona euro non è ancora esclusa»
Intervista a Dominique Plihon Secondo il professore di economia finanziaria e portavoce di Attac France: «I movimenti sociali, i sindacati, le ong che si battono per i diritti hanno un ruolo importante da svolgere, per svegliare la politica»
Intervista a Dominique Plihon Secondo il professore di economia finanziaria e portavoce di Attac France: «I movimenti sociali, i sindacati, le ong che si battono per i diritti hanno un ruolo importante da svolgere, per svegliare la politica»
Manuel Valls applaudito con una standing ovation all’Università d’estate del Medef (la Confindustria francese) per aver proclamato «Io amo l’impresa», il ministro del lavoro che annuncia controlli più severi sui disoccupati che prendono il sussidio, la conferma del Patto di responsabilità, che prevede 50 miliardi di tagli alla spesa dello stato e 40 miliardi di sgravi per le imprese. E la nomina di un ex banchiere, Emmanuel Macron, a ministro dell’Economia. La relativa resistenza francese di fronte al diktat del rigore è ormai sconfitta, ad opera di un governo socialista? Siamo alla rinuncia dichiarata di ogni speranza di miglioramento delle condizioni sociali? L’economista sgomento Dominique Plihon, professore di economia finanziaria e portavoce di Attac France, ha uno sguardo molto pessimista sulla situazione, in Francia e in Europa.
Il governo Valls II rappresenta la svolta dell’austerità?
Finora la Francia aveva già applicato il rigore, ma è vero in modo meno violento di Spagna, Portogallo, Grecia, anche Italia. I salari dei funzionari, per esempio, non sono stati diminuiti. Ma adesso, il governo Valls II rappresenta una nuova tappa in questa deriva di austerità: se il piano economico di 50 miliardi di tagli verrà applicato, ci sarà un impatto considerevole su molte persone, sul livello del reddito, aumenterà il precariato, avremo una diminuzione del numero degli occupati, con effetti diretti sulla funzione pubblica e indiretti sul settore privato, a causa di un calo nelle ordinazioni pubbliche. Ma io non credo che questo piano potrà essere applicato, perché scatenerà un circolo vizioso con il rigore, freno all’economia che rallenta, maggiore disoccupazione, rischi di deflazione. In Francia, più che altrove, sono possibili reazioni forti. Il governo ha paura. La domanda è: chi paga il fardello dell’aggiustamento? Come viene ripartito tra i diversi settori economici, le classi sociali ecc.? Hollande, con il Patto di Responsabilità, accentuato con Valls II, propone un trasferimento di risorse verso le imprese. Il ragionamento è che le imprese hanno perso competitività, perché non investono abbastanza, e non lo fanno perché i margini di profitto sono insufficienti. Bisogna quindi ricostituire i margini per avere investimenti, competitività e poi occupazione.
Lo diceva già il tedesco Helmut Schmidt ai suoi tempi: i profitti di oggi sono gli investimenti di domani e l’occupazione di dopodomani. Ma trasferimenti massicci verso l’impresa sono illusori in un contesto di crescita debole se non eguale a zero. Gli acceleratori per gli investimenti sono la domanda e i profitti, ma tutti gli studi lo dicono, in Europa e negli Usa: il principale è la domanda. In Francia ci sono due tipi di imprese, quelle lavorano a livello internazionale, che vanno bene e difatti hanno aumentato del 30% i dividendi distribuiti, sono i campioni del mondo. Poi c’è una parte della piccola e media impresa che non va bene. Ma il Patto di responsabilità non fa distinzione, non si concentra sulle imprese in difficoltà. Gli aiuti alle imprese avrebbero dovuto essere condizionati, in settori strategici e con obiettivi di occupazione. Anche la Bce dovrebbe porre condizioni alle banche che finanzia.
Macron afferma che si po’ essere di sinistra e avere buon senso. C’è uno slittamento del linguaggio per imporre Tina, There is no Alternative?
Al di là dell’idea di competitività c’è un’alleanza di classe tra un governo che si dice socialista e non lo è, con il padronato e le banche. E molti ci cascheranno, crederanno che non ci siano altre alternative per risanare i conti. Ma è una cattiva psicologia. Oggi c’è un rischio di deflazione, la gente non spende. Ma il governo non ha fatto nessuna dichiarazione, neppure simbolica, per ridare fiducia a lavoratori e imprenditori. Bisognerebbe, per esempio, aumentare i salari, almeno al ritmo dell’aumento della produttività, che è intorno allo 0,7-1% l’anno. Rilanciare gli investimenti privati anche attraverso gli investimenti pubblici. Varare programmi per le energie alternative, per trasporti ecologici ecc. In Francia si dovrebbe incidere sui settori costosi, come i prezzi dei medicinali o l’edilizia – in Francia la casa pesa al 40% sul bilancio delle famiglie. Ma si tratta di lobbies, che hanno grandi poteri. L’edilizia in Francia è dominata da 4 o 5 società, e nessun governo osa affrontarle, hanno fatto anche saltare il blocco degli affitti. Per quanto riguarda la casa, Tina è un falso.
L’idea di Hollande non era di rimettere i conti a posto a casa, ma avere il rilancio attraverso l’Europa? La proposta di 300 miliardi del nuovo presidente della Commissione Juncker è un segnale positivo?
300 miliardi sono pochi, più o meno l’1% del pil europeo. Ce ne vorrebbe dieci volte tanto, per progetti di transizione energetica, trasporti, investimenti pubblici. Ma in Europa ognuno fa da sé. La crisi ucraina, per esempio, potrebbe essere l’occasione per reagire: sappiamo che Putin userà anche l’arma del gas. Invece di nuove sanzioni contro la Russia, perché non rispondiamo con un programma di investimento sulle nuove energie? Ma Merkel ha una visione mercantilistica, l’unica cosa che conta è l’export tedesco. L’Europa è in una situazione eterogenea. Ci sono paesi in grave recessione, come Spagna, Portogallo, Italia, senza margini di manovra e paesi che possono agire, come gli Scandinavi, l’Olanda, l’Austria, la Germania, anche se ha ormai un tasso di crescita negativo. Francia, Italia, Spagna dovrebbero aumentare la pressione su Merkel, arrivare a uno scontro deciso, denunciare con decisione questa politica che sta soffocando l’uscita dalla crisi. Arrivare anche a boicottare i vertici. La Francia è la seconda economia della zona euro, l’Italia la terza. La Germania da sola non ce la farà a rilanciare l’Europa e anche se Berlino esporta nel mondo, restiamo i suoi principali partner.
Tutti sono paralizzati dalla paura dello spread sui tassi di interesse.
Intanto i mercati sono più intelligenti di quello che si crede e se vedessero tre grandi paesi che cambiano rotta e che a termine puo’ rilanciare l’economia possono capire. Poi c’è l’interessante progetto degli Eurobonds, rifiutato dalla Germania. Attenzione, lo scenario di un’esplosione della zona euro non è ancora escluso del tutto: tensioni interne, eterogeneità tra paesi, disoccupazione in crescita, rischio di deflazione, possono portare a una crisi sociale grave. Siamo sicuri di poter sopportare altri cinque anni di recessione? Non ci scommetterei.
Come uscire dalla paralisi, in un momento in cui il Fronte nazionale si presenta come il “socialismo” dei petits blancs e seduce le classi popolari impaurite?
Credo che i movimenti sociali, i sindacati, le ong che si battono per i diritti abbiano un ruolo importante da svolgere, per svegliare la politica. La crisi politica sta diventando una crisi democratica, in Francia Hollande sta facendo una politica opposta a quella per cui è stato eletto.
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