Politica

L’esitazione di Meloni, che poi spalleggia il suo vice

Landini a Porta a Porta, foto LaPresseLandini a Porta a Porta – LaPresse

Palazzo Chigi Vertice su Mes e balneari

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 15 novembre 2023

La sproporzione è vertiginosa. Quello del 17 novembre non è il grande sciopero dei minatori inglesi del 1984, sconfitto dopo oltre un anno, né quello dei controllori di volo negli Usa, che con i suoi 11.345 licenziamenti inaugurò l’era Reagan. È una protesta contenuta, davvero il minimo sindacale.

Salvini, anima in pena perennemente in cerca di un ruolo e di una parte elettoralmente proficua, ha scelto di portare lo scontro a conseguenze estreme per puro tornaconto personale. Ai colleghi di governo, in particolare al numero 2 del suo partito Giorgetti, la forzatura deve essere spiaciuta assai.

Il ministro dell’Economia commenta senza neppure citare la diatriba sui caratteri più o meno generali dello sciopero generale, e fa in modo che traspaia una posizione rispettosa, opposta alle sguaiate offese del suo capo: «I sindacati hanno totale legittimità a scioperare. Andare in piazza è qualcosa che ho fatto sin da piccolo. Ma non si può dire che questo governo non abbia cura dei redditi bassi».

Neppure a Giorgia Meloni la trovata deve essere piaciuta molto. La situazione è troppo delicata per rendere anche il conflitto sociale incandescente. Il governo ha già parecchie gatte da pelare con l’Europa, e la grana in testa alla classifica oggi è il Mes.

In pubblico la Ue si mostra paziente ma con la dovuta discrezione fa arrivare segnali di tutt’altro tipo: quella riforma del fondo salva Stati va ratificata ora. La premier capisce l’aria e convocato d’urgenza, nel tardo pomeriggio di ieri, un vertice a palazzo Chigi con i vicepremier Salvini e Tajani e i ministri Giorgetti e Fitto. All’odg non c’è solo l’eterno rovello sul Mes ma anche quello dei balneari.

Non certo per caso sono i due fronti sui quali il conflitto latente con la Ue è più vicino al punto di saturazione. Il capogruppo della delegazione FdI a Strasburgo Fidanza esclude la firma: «Per noi rimane legato alla riforma del Patto di Stabilità e al completamento dell’unione bancaria».

L’intenzione del governo resta però quella di rimandare ancora, quando il 20 novembre la proposta di ratifica del Mes tornerà nell’aula della Camera, usando il classico espediente del rinvio in commissione.

Una nuova sospensiva, dopo quella di 4 mesi con la quale il governo aveva svicolato a giugno, è infatti impossibile.

Il Pd ha colto l’occasione per avanzare una proposta di mediazione, approvare il Mes subito ma con una clausola ripresa dalla Germania: l’accesso al Mes, in caso di necessità, potrebbe essere chiesto solo a maggioranza qualificata di due terzi del parlamento. In questo caso la minaccia di un Mes attivato in futuro da una maggioranza diversa da questa e contro il centrodestra sarebbe di fatto cancellata. «È l’ultima offerta e permette al governo di uscire dal vicolo cieco nel quale si è cacciato. Scegliere il ritorno in Commissione significherebbe ammettere di fronte all’Europa che la maggioranza non vuole la ratifica», commenta il capogruppo Pd in commissione Esteri Amendola.

Alla fine del vertice le bocche sono più cucite che mai. Solo «una delle periodiche occasioni di confronto sui principali dossier».

In realtà il governo non intende cedere alle pressioni Ue. Si prepara a tenere ancora in sospeso la riforma del Mes e forse anche quella del Patto di stabilità. In questa situazione aprire anche un fronte interno con i sindacati non era nelle intenzioni della premier e di Giorgetti. Ma una volta apertosi lo scontro Meloni ha scelto di spalleggiare Salvini, sia pur senza esporsi ma passando la palla al suo partito, seguito a ruota da Fi, con una parola d’ordine secca: precettazione. E se nel mirino è finito di fatto il diritto di sciopero, tanto di guadagnato.

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