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L’escalation di guerra un rischio per la rielezione

L’escalation di guerra un rischio per la rielezioneJoe Biden

Biden-Medio Oriente È iniziato con una clamorosa contestazione di Antony Blinken e di Lloyd Austin l’iter al senato per l’approvazione di un sostanzioso pacchetto di aiuti militari a Ucraina, Israele e Taiwan. […]

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 1 novembre 2023

È iniziato con una clamorosa contestazione di Antony Blinken e di Lloyd Austin l’iter al senato per l’approvazione di un sostanzioso pacchetto di aiuti militari a Ucraina, Israele e Taiwan. Il segretario di stato e il capo del Pentagono sono stati interrotti e contestati da un folto gruppo di pacifiste del gruppo Codepink, le mani “insanguinate” di vernice rossa, che gridavano slogan nell’aula dell’audizione contro i due ministri, innalzando cartelli per il cessate il fuoco e contro nuovi aiuti a Israele.

Biden fa politica da troppo tempo per considerare la protesta di Codepink solo un episodio marginale di estremistico dissenso rispetto al crescente coinvolgimento degli Stati Uniti su diversi fronti conflittuali. E sì, il clima è decisamente teso a Washington e la tensione legata alla crisi mediorientale non è solo nelle piazze e negli atenei e non entra nei palazzi del potere solo per iniziativa dei contestatori. Nel Partito democratico 55 membri della camera dei rappresentanti hanno firmato una lettera al presidente in cui si chiede un suo intervento su Israele perché rispetti le regole internazionali e non colpisca la popolazione civile. Al senato Bernie Sanders ricorda che gli Stati Uniti donano a Israele 3.8 miliardi di dollari e che «Israele ha il diritto di difendersi e di distruggere Hamas, ma non ha il diritto di usare i dollari dell’America per uccidere migliaia di uomini, donne, bambini innocenti a Gaza».Anche dai sondaggi arrivano messaggi politici nella stessa direzione. Un Gallup condotto prima della guerra in corso in Medio Oriente mostrava consistenti spostamenti di elettorato democratico dal sostegno a Israele a simpatie per i palestinesi, con una maggioranza del 49% per questi ultimi e il 38% per Israele.
Altri rilevamenti dei giorni scorsi mostrano dati analoghi tra i giovani e i giovanissimi elettori democratici.

Sono cambiamenti significativi che in alcuni distretti elettorali possono rivelarsi fattori politici decisivi per la rielezione di Biden, come d’altra parte hanno detto in modo chiaro allo stesso presidente gli esponenti delle comunità islamiche statunitensi ricevute riservatamente alla Casa Bianca dopo la sua missione in Israele. Non dare per scontato il voto arabo, è stato il messaggio della delegazione, peraltro irritata dal fatto che dell’incontro non sia stata data notizia dalla presidenza.

Ovviamente gli episodi ormai numerosi e diffusi di antisemitismo scuotono e allarmano l’opinione pubblica e alimentano la polarizzazione, come anche quelli non meno orrendi e numerosi di islamofobia (una pediatra musulmana, Talat Jehan Khan, è stata accoltellata a morte a Conroe, Texas, lunedì scorso), creando un clima politico che restringe e condiziona gli spazi di manovra a disposizione del presidente, mentre i sondaggi sulla sua popolarità restano drammaticamente allarmanti. La media di disapprovazione del suo operato nei rilevamenti dei cinque principali istituti di sondaggio è del 54% contro il 40% di approvazione.

Biden ha tentato di uscire dall’angolo collegando tra loro i tre punti di crisi internazionali in cui è coinvolta la sua amministrazione, Ucraina, Medio Oriente e Taiwan, e proponendo al Congresso un unico pacchetto di aiuti militari per 106 miliardi di dollari, con l’idea di approfittare del consenso largo al sostegno a Israele per rinnovare quello a favore dell’Ucraina, che ormai incontra aperto e crescente ostilità nei due rami del Congresso, specie nelle file repubblicane della camera dei rappresentanti.

L’operazione sembrava riuscita fino a che non si è messo di traverso il nuovo speaker della camera, il trumpiano Mike Johnson, che in contrasto con i big del Partito repubblicano al senato, già d’accordo con la Casa Bianca, ha proposto lo spacchettamento dei tre capitoli di aiuti, introducendo subito un bill specifico di stanziamenti a favore d’Israele per un ammontare di 14,5 miliardi di dollari, e quindi lasciando fuori l’Ucraina e Taiwan. Ma anche questi aiuti sono contestati nello stesso Partito repubblicano. Annunciando la sua opposizione al bill, il rappresentante del Kentucky Thomas Massie ha detto che, se il Congresso manda 14.5 miliardi di dollari a Israele, significa che «saranno sfilati dalle tasche dei lavoratore americani una media di cento dollari ciascuno», in inflazione e in tasse.

Certamente le scene che vengono da Gaza non aiutano ad abbassare la temperatura politica a Washington e quindi a facilitare gli sforzi di Biden e Blinken volti a offrire l’immagine di un’amministrazione che ha peso e ruolo nella crisi in corso. La leadership israeliana sembra disposta a tutto per condizionare, lei, la Casa bianca, non viceversa, anche giocando con grande spregiudicatezza l’identificazione delle critiche nei confronti del governo d’Israele con forme di cedimento se non complicità con il montante antisemitismo, come dimostra la clamorosa scena dell’ambasciatore d’Israele all’Onu, Gilad Erdan. Che alla fine del suo intervento a una riunione del consiglio di sicurezza si appunta una stella di David gialla. Un tentativo di omologare l’unicità tragica dell’Olocausto al ’eccidio del 7 ottobre, e insieme«nazificare i palestinesi», per dirla con Ilan Pappé, che dà la misura del livello di escalation emotiva a cui è disposta ad arrivare il sodalizio di Netanyahu. Un gesto che il presidente dello Yad Vashem, Dani Dayan si è detto «dispiaciuto di vedere», «un atto che disonora le vittime dell’Olocausto e lo Stato d’Israele».

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