Politica

«L’ergastolo ostativo va abolito». La Cedu rifiuta il ricorso italiano

Cedu, STrasburgoLa Corte europea dei diritti dell'Uomo

La Corte europea dei diritti dell’uomo conferma la condanna all’Italia del giugno scorso

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 9 ottobre 2019

L’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione europea sui Diritti umani, e perciò va abolito. A conferma dell’orientamento già espresso dalla Cedu nella sentenza del 13 giugno scorso, è arrivata ieri la decisione dei cinque giudici che fanno da filtro alla Grande Chambre e che hanno rigettato, tra gli altri, anche il ricorso presentato dal governo italiano in quella occasione, contro la condanna subita per il trattamento inumano e degradante nei confronti di Marcello Viola, boss mafioso che si è macchiato di efferati delitti e che stava scontando il carcere a vita con isolamento diurno per la durata di due anni e due mesi dopo essere stato sottoposto per sei anni al regime di 41bis.

Il combinato disposto delle norme 4-bis e 58-ter dell’ordinamento penitenziario che regola il cosiddetto «ergastolo ostativo» – ossia la detenzione a vita senza liberazione condizionale, misure alternative o altri benefici penitenziari, nel caso in cui il detenuto non collabori con la giustizia – secondo la Corte di Strasburgo va modificato. Perché costituisce una «life sentence without hope», limita «indebitamente la prospettiva di un mutamento futuro dell’interessato e la possibilità di revisione della pena», come scritto nella sentenza del 13 giugno. Pertanto, «non può essere qualificata come comprimibile ai fini dell’articolo 3 della Convenzione». Secondo i giudici europei deve soprattutto essere smantellato il principio dell’automatismo, per fare in modo che siano i giudici a decidere caso per caso (gli ergastolani in Italia sono 1.776 di cui quasi i due terzi condannati all’ergastolo ostativo).

Una decisione importante anche se non esecutiva, quella della Corte di giustizia europea creata nel 1959 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa per monitorare l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo del 1950. Soprattutto perché potrebbe contribuire ad orientare la Corte costituzionale che il 22 ottobre prossimo dovrà pronunciarsi sulla stessa questione. Inoltre, potrebbe diventare una sentenza «pilota»: dopo il risarcimento che a questo punto lo Stato italiano deve a Marcello Viola, potrebbero seguire altri ricorsi.

Il pronunciamento della Cedu delude le aspettative e gli accorati appelli di quasi tutte le istituzioni e le parti politiche italiane che, come una sola voce, chiedevano alla Cedu di tenere conto della «specificità italiana» e di evitare perciò decisioni che avrebbero «smantellato il sistema giudiziario antimafia» del nostro Paese. Il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, ieri però è andato un tantino oltre, arrivando a dire che «la Cedu ha deciso di andare allo scontro con l’Italia». «Non c’è solo la questione di risarcimenti milionari che potranno chiedere – puntualizza il senatore del M5S – c’è soprattutto l’offesa che è stata fatta a generazioni di siciliani, italiani, magistrati, uomini delle forze dell’ordine che per difendere lo Stato sono stati sterminati in attentati schifosi. Questi giuristi non comprendono la virulenza di questi soggetti. Lo Stato combatte contro il tritolo lanciando margherite. Ora è a rischio anche il 41 bis». Luigi Di Maio ci pensa un po’ di più ma alla fine il risultato non cambia: «Un terrorista o un mafioso che ha ucciso, ha fatto saltare in aria magistrati o ha sciolto i bambini nell’acido deve restare in galera a vita», dichiara al Tg1 il ministro degli Esteri.

Sulla stessa linea Giorgia Meloni. E perfino Leu non si discosta molto: «La decisione di non accogliere il ricorso dell’Italia è figlia di una scarsa conoscenza del modello mafioso italiano – commenta il senatore Pietro Grasso – Non è un caso che l’abolizione dell’ergastolo fosse uno dei punti del papello di Riina per fermare le stragi».

A salutare il verdetto come una «splendida notizia» sono invece l’Unione delle camere penali, il Partito radicale e le tante associazioni attive nell’universo penitenziario. «La Corte di Strasburgo fa cadere la collaborazione con la giustizia come unico criterio di valutazione del ravvedimento del detenuto – dichiara Nessuno tocchi Caino – e sono falsi gli allarmismi sulla liberazione immediata dal carcere di centinaia di ergastolani perché, più che i condannati a vita, saranno liberi i magistrati di sorveglianza che, nel concedere benefici e misure alternative, oggi hanno le mani legate». Per Antigone, «si tratta di una decisione di civiltà giuridica che ci riporta al pari di molti altri paesi europei». Perché, sottolinea Patrizio Gonnella, «uno Stato forte non teme se stesso e i propri giudici né la liberazione di persone che hanno scontato in carcere decenni di pena».

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