Quattro dimissioni di peso dal Comitato per l’individuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni hanno dato l’ennesima picconata al progetto di autonomia differenziata targato Roberto Calderoli. «Il governo ritiri il ddl» hanno attaccato le opposizioni, da Azione ad Avs. La lettera, indirizzata al ministro leghista e al presidente del Clep Sabino Cassese, è datata 26 giugno. Ad abbandonare i lavori sono stati gli ex presidenti della Corte Costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l’ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e l’ex ministro Franco Bassanini: «Non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione».

LA MISSIVA termina così: «Restiamo consapevoli dell’importanza che avrebbe per il Paese una completa e corretta attuazione delle disposizioni costituzionali ricordate». Si tratta della riforma del Titolo V, quella che ha aperto la porta all’autonomia differenziata. Del resto a battezzare l’intervento sulla Costituzione fu, nel 2001, il governo Amato di cui Bassanini era ministro della Funzione pubblica.

I QUATTRO SCRIVONO: «Abbiamo apprezzato, caro Ministro, alcune tue importanti affermazioni, in particolare allorché hai escluso trasferimenti di competenze in materia di norme generali sull’istruzione. Abbiamo anche apprezzato il fatto che Sabino Cassese abbia proceduto all’istituzione di un nuovo sottogruppo dedicato alla individuazione dei Lep nelle materie non ricomprese nel perimetro dell’art. 116 terzo comma». Cioè quelle esercitate dagli enti regionali.

RESTANO PERÒ I PROBLEMI di fondo: «Prima dell’attribuzione di nuovi compiti e funzioni ad alcune Regioni con le corrispondenti risorse finanziarie, è necessaria la determinazione di tutti i Lep attinenti all’esercizio di diritti civili e sociali e la definizione del loro finanziamento secondo l’art. 119 della Costituzione». Occorre, quindi, che vengano individuati «i nuovi Livelli essenziali delle prestazioni per assicurare effettivamente il superamento delle disuguaglianze territoriali nell’esercizio dei diritti civili e sociali. Vi sono infatti materie nelle quali il legislatore non ha mai proceduto a determinare i Lep e molte altre nelle quali questa determinazione è stata parziale». Inoltre, non è mai stato fatto il lavoro di comparazione dei Lep con le risorse in modo da definire «quali livelli essenziali effettivamente sono assicurabili a tutti, senza discriminare nessuno o creare insostenibili oneri per la finanza pubblica».

L’AUTONOMIA, è stato stabilito, sarà a costo zero perché non dovranno derivarne «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», le regioni più ricche vogliono trattenere le tasse riscosse quindi non c’è spazio per applicare i Lep. Nella lettera si legge: «Come avevamo proposto, la contraddizione fra il dettato costituzionale (116, 117 e 119) e le disposizioni della legge di bilancio si potrebbe risolvere modificando queste ultime mediante emendamenti al disegno di legge Calderoli, facendo così correttamente prevalere le norme costituzionali. Ma abbiamo inteso che questa proposta non è condivisa né da te (Calderoli ndr) né da Sabino Cassese».

ALTRI ELEMENTI DI SCONTRO le materie oggetto di devoluzione e il ruolo delle Camere: «Non è stata parimenti condivisa la nostra proposta di consentire al Parlamento di definire preventivamente limiti alla negoziazione delle intese, da intendersi come contenuti non negoziabili, quali per esempio le norme generali sull’istruzione o le grandi infrastrutture nazionali di trasporto, le reti di telecomunicazione e le infrastrutture nazionali dell’energia elettrica e del gas». E ancora: «Spettano al Parlamento le scelte fondamentali sull’allocazione delle risorse pubbliche. Il ricorso al criterio della spesa storica non risolve il problema perché riflette le disuguaglianze territoriali che la Costituzione mira a superare».

IL CLEP avrebbe dovuto consegnare il 30 giugno al governo una ricognizione delle funzioni da devolvere e la relativa spesa storica dello Stato più la modalità per definire i Lep e i fabbisogni finanziari. La scadenza non è stata rispettata. Il percorso del comitato era cominciato con le dimissioni, a pochi giorni dall’insediamento, dell’ex presidente della Camera Luciano Violante, dell’ex ministra Anna Finocchiaro e del giurista Franco Gaetano Scoca. Poi sono arrivate le bocciatura da parte di istituzioni autorevoli come Corte dei Conti, Ufficio parlamentare di Bilancio e Banca d’Italia.

CASSESE ieri non ha commentato, Calderoli invece si è detto stupito: «Avevamo affrontato il tema dei livelli essenziali di tutte le materie e non solo quelle riferite agli enti territoriali, era stato creato un sottogruppo concordando che questa estensione non fosse pregiudiziale alla definizione dei Lep delle 23 materie possibilmente oggetto di trasferimento alle regioni. Il governo va avanti». Cioè prima l’autonomia alle regioni e poi i diritti civili e sociali.

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IL PD è partito all’attacco: «La lettera – il commento di Francesco Boccia – dimostra che l’autonomia differenziata è solo una bandierina del Carroccio che non ha possibilità di essere realizzata se non a costi che il Paese non si può permettere». E Marco Sarracino: «Il ddl Calderoli sta lentamente naufragando». La 5S Alessandra Maiorino: «Meloni metta davvero l’interesse della nazione davanti ai suoi sogni di gloria legati al premierato e fermi questo progetto sconsiderato». Da Azione Mara Carfagna: «È il ko a una riforma iniqua e sbagliata». Infine l’Anpi: «In Italia sono cresciute a dismisura le diseguaglianze, occorre ripensare l’intera materia rinunciando a una visione competitiva delle autonomie promuovendo, viceversa, un’idea di regionalismo solidale». FdI tira dritto, Rampelli: «Dimissioni dal sapore politico».