La saga dei travagliati rapporti tra il presidente francese Emmanuel Macron e la premier italiana Giorgia Meloni prosegue sino all’ultimo, più telenovela che alta politica. La voce del fatidico meeting tra i due circola dalla mattina. L’italiana allude, parla di «contatti in corso». Il francese frena, fa segnalare dalle fonti dell’Eliseo che a Bruxelles in occasione del Consiglio europeo di bilaterali in programma ce ne sono molti, chissà se ci sarà tempo per l’Italia.

Anche Meloni ha il carnet quasi piano, il premier polacco, poi quello greco, ma il tempo per il leader europeo con cui i rapporti sono più difficili lo troverà comunque. Alla fine, al termine del vertice, il faccia a faccia viene confermato dall’Eliseo per la notte. Sarebbe la prima volta che Meloni incontra Macron da quando è presidente del consiglio ma questo, in sé, non farebbe notizia. È l’incidente della Ocean Viking del novembre scorso a rendere degno di nota quello che altrimenti sarebbe solo uno dei molti bilaterali che puntualmente si svolgono a margine dei consigli europei.

PERCHÉ PROPRIO ORA? Prima di tutto perché alla faida deve comunque essere messo prima o poi un punto. Ma probabilmente anche perché Macron ha bisogno di tutti gli aiuti possibili nella difficile partita che giocherà oggi sull’energia. Agli ambientalisti la sola idea di inserire l’energia nucleare nel dorato novero delle energie pulite sembra una bestemmia, ma per la Francia, che di nucleare campa, è questione di vita o di morte e il nucleare, forse, val bene un bilaterale.

La premier italiana necessita a propria volta di appoggi nel vero tema centrale di questo Consiglio europeo, l’energia, anzi la riconversione energetica. Il passaggio all’auto elettrica entro il 2035 per l’Italia e non solo per l’Italia dovrebbe essere ormai fuori discussione, anche se la formula è ancora da chiarire. Ma Giorgia Meloni va oltre: «Condividiamo l’obiettivo della transizione ma riteniamo che l’Unione non debba occuparsi di quali tecnologie usare per arrivarci».

Insomma, meglio le biotecnologie che dipendere da altri, Cina in testa. Sullo sfondo la questione forse più decisiva, la revisione del Patto di stabilità e anche qui la premier italiana è in prima linea: «L’Unione deve imparare dagli errori del passato. Per noi sarebbe tragico tornare ai parametri precedenti. Ci vuole una governance più attenta alla crescita e non solo alla stabilità». Una governance, per tradurre in richieste materiali, che escluda dai conti le spese per la transizione ecologica, digitale ed energetica.

ENERGIA, COMPETITIVITÀ, in parte revisione delle regole sono i nodi spinosi che arriveranno al pettine oggi. Sull’Ucraina, il primo tema in agenda anche in ordine di importanza, invece quasi tutto fila liscio. Il presidente Volodymyr Zelensky si collega da un treno che percorre l’Ucraina in guerra e squaderna le sue richieste, definendole «ritardi che possono prolungare la guerra»: missili a lungo raggio, aerei da combattimento pudicamente definiti moderni e s’intende gli F-35, nuove sanzioni contro la Russia, accelerazione nell’ingresso ucraino nell’Unione europea, adozione del suo piano di pace in 10 punti.

IL CONSIGLIO APPROVA in larga misura. Dà il semaforo verde alla proposta presentata dal vertice di ministri degli Esteri, 2 miliardi per un milione circa di nuove munizioni tra razzi terra-terra e artiglieria nel giro di un anno, missili inclusi «se richiesto». È implicito che bisognerà di conseguenza rifornire gli arsenali svuotati per armare l’Ucraina. I ministri degli Esteri prevedono una spesa di 3,5 miliardi ed è su questo tavolo che sostegno all’Ucraina e riarmo si intrecciano, col sostegno anche di chi, come il Pd, si era in altri tempi pronunciato contro il riarmo. Anche le nuove sanzioni arriveranno.

IL DOCUMENTO del Consiglio chiede «il ritorno sicuro degli ucraini trasferiti o deportati con la forza in Russia, in particolare dei bambini». Si entra così nel terreno minato del mandato d’arresto internazionale per Putin emesso dal Tribunale dell’Aja. La grande maggioranza dei presenti vorrebbe «accoglierlo con favore». L’Ungheria si oppone, la formula, molto a malincuore, viene derubricata a un algido «il Consiglio prende atto dei mandati d’arresto». Il passaggio sull’Ucraina, per quanto riguarda i rapporti tra i 27, era tutto discesa. La salita, anzi le salite arrivano oggi.