L’emergenza sanitaria: accertato il primo caso di colera
Libano A rischio le persone sfollate. Parla Roberto Ferracci di Azione contro la fame
Libano A rischio le persone sfollate. Parla Roberto Ferracci di Azione contro la fame
Il timore di un’emergenza nell’emergenza adesso si chiama colera. In Libano, il primo caso è stato accertato tre giorni fa: una donna di 82 anni di Sammouniyeh, nella regione di Akkar. Cominciate le procedure sanitarie necessarie ad opera del ministero della salute libanese presieduto da Firas Abiad e di varie Ong che si occupano di prima assistenza. «Si procederà con una mappatura dei rischio. Di conseguenza anche la risposta all’emergenza sfollati risentirà di questa mappatura e si prioritizzeranno per la risposta all’emergenza, nel breve periodo, le zone a più alto rischio fra quelle col più alto numero di sfollati» ci spiega Roberto Ferracci, ingegnere e coordinatore di settore in materia di qualità dell’acqua di Azione contro la fame, in prima linea nella crisi umanitaria che sta affliggendo il Libano.
«LA SORVEGLIANZA dei casi è gestita dal ministero della salute libanese, con cui collaboriamo. Ora sta esaminando i trend epidemiologici legati alle waterborne desease, ovvero le malattie legate alla trasmissività dell’acqua, come il colera. Il colera è endemico nel paese, mancava da decenni, ma nel 2022 si sono registrati altri casi, individuati nella stessa regione, Hermel-Akkar, nel nord del paese. Il rischio ha fatto in modo che l’Organizzazione mondiale della sanità predisponesse dei vaccini. Il colera è una malattia molto trasmissibile per via orofecale, attraverso l’acqua, il cibo, la scarsa igiene. A causa del conflitto quest’anno non è stato possibile attuare tutte le misure di contenimento, nonostante sia l’anno scorso che quest’anno ci fossero a disposizione dei vaccini. E adesso, a ottobre, mese di maggiore scarsità di acqua con conseguente approvvigionamento a fonti non sicure e controllate – e quindi potenziale aumento del rischio di contagio, data l’endemicità della malattia- il rischio trasmissibilità aumenta», spiega ancora Ferracci.
L’ingegnere ci tiene a sottolineare che «l’emergenza sfollati interni fa aumentare esponenzialmente la complessità sia di tracciamento che di intervento. Al momento Unicef, Oms, Azione contro la fame ed altre ong specializzate si stanno coordinando con in ministero della Salute libanese per contenere quella che potrebbe diventare l’ennesima catastrofe a danno dei civili, per lo più ospitati in scuole o centri di accoglienza non adatti a contenere stabilmente un numero così elevato di persone. Gli impianti idraulici e fognari delle strutture di accoglienza non sono infatti idonei all’uso abitativo».
AL MOMENTO il numero degli sfollati interni scappati in massa in un esodo biblico dal sud e dall’est del Libano ormai un mese fa, quando si sono intensificati i bombardamenti israeliani, in scene ormai impresse nella memoria collettiva libanese, è di circa un milione e mezzo. Dall’inizio dei bombardamenti non c’è stato infatti modo di tornare nei propri luoghi d’origine e si ignora ogni eventuale data di rientro.
MOLTI VILLAGGI sono stati completamente rasi al suolo, soprattutto nelle aree al confine tra Libano e Israele, in previsione di una possibile invasione delle truppe di terra israeliane, che per il momento si sono limitate a incursioni di poche unità. Alcuni villaggi – talvolta con una storia millenaria come quello di Mhaibib – , sono stati completamente distrutti dall’aviazione israeliana. Città come Nabatiyyeh sventrate, in azioni punitive molto più che militari. Il metodo è lo stesso usato a Gaza: spianare per poi entrare.
Alle infinite emergenze libanesi, quella umanitaria, quella politica, sociale, economica, si aggiunge adesso il timore per una crisi sanitaria che può scoppiare da un momento all’altro.
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