Internazionale

Meloni in Libano e la tregua a tempo che Israele non vuole

Giorgia Meloni al suo arrivo in Libano con il premier Najib MikatiIl primo ministro libanese Mikati accoglie Giorgia Meloni a Beirut

Medio Oriente Nel viaggio a Beirut riproposta l’idea di Biden e Macron, già cassata. Con Unifil incontro lampo nella capitale: «Va rafforzata». Continuano i raid israeliani a sud e a est: in un anno 2.412 libanesi uccisi, 11mila feriti

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 19 ottobre 2024

La giornata della presidente Meloni in Medio Oriente si è conclusa ieri all’aeroporto Rafiq Hariri di Beirut dove si è concessa, a differenza della visita precedente a marzo, alle domande dei giornalisti. Temi del giorno il caso Unifil, la crisi libanese, quella di Gaza e la questione dei migranti siriani.

Alla nostra domanda su quali condizionalità si debbano applicare sui fondi che l’Unione europea ha stanziato (e che raddoppierà nel 2025) per supportare le autorità cipriote e libanesi nel contrasto alla migrazione siriana, autorità colpevoli secondo numerosi rapporti – ultimo dei quali quello di Human Rights Watch del 4 settembre scorso – di violare i diritti umani dei migranti, la premier ha abbozzato un sorriso imbarazzato e detto di non essere a conoscenza né dei rapporti, né delle violazioni.

«Purtroppo non conosco i report e non sono in grado di commentare qualcosa di cui non sono a conoscenza. Non sono entrata nel dettaglio», ha dichiarato.

GIOVEDÌ si è tenuto a Bruxelles un summit nel quale si è discusso di una reintegrazione della Siria di Bashar al-Assad ai tavoli diplomatici internazionali. A giugno la Francia aveva spiccato un mandato d’arresto per crimini di guerra per il presidente siriano.

Ora l’Italia si impegna a fare in modo che i siriani rientrino in Siria senza conseguenze personali aumentando gli sforzi diplomatici. Hrw ha già denunciato l’assenza di garanzie per i già rimpatriati anche grazie ai fondi europei, oltre alle violazioni, appunto, da parte delle autorità locali e cipriote.

E poi c’è la guerra in Libano. A Beirut Meloni ha incontrato il suo omologo libanese Miqati, con cui ha tenuto una conferenza stampa, e il presidente del parlamento Nabih Berri privatamente. Meloni ha assicurato «l’impegno italiano per arrivare a una de-escalation, a un cessate il fuoco, fosse anche temporaneo» e ribadito la necessità di una piena implementazione della risoluzione 1701 delle Nazioni unite.

A Mikati e Berri, la premier ha portato la proposta di 21 giorni di tregua, di cui l’Italia è una delle nazioni promotrici e ha poi chiesto «uno sforzo da parte israeliana». Non si è spinta oltre nella velata critica all’alleato israeliano, nemmeno per una delle questioni più calde per Roma, l’Unifil (Meloni evita di andare a sud, resta a Beirut e la visita con la missione è lampo: incontra il comandante del contingente italiano, atteo Vitulano): mentre Andrea Tenenti, portavoce della missione, a Ginevra ricordava che Unifil è stata «colpita a più riprese deliberatamente cinque volte» dalle forze israeliane, Meloni ha ribadito l’importanza della presenza dei caschi blu nel sud del paese, una presenza «che va rafforzata mantenendo la sua imparzialità». Magari con una maggiore partecipazione italiana nella formazione, dice, delle debolissime forze armate libanesi.

IN MATTINATA Meloni si era recata ad Amman dove, dice la nota di palazzo Chigi, nell’incontro «tête-à-tête» con il re Abdallah II, «ha espresso l’apprezzamento italiano per il ruolo svolto dalla Giordania nella consegna dell’assistenza umanitaria a Gaza».

Nelle stesse ore il presidente Usa Biden esprimeva speranze per un cessate il fuoco in Libano, meno per Gaza. Ma è in Libano che ieri Israele ha mobilitato una nuova brigata di riservisti alla frontiera, mentre Hezbollah ha annunciato in una nota nella notte tra giovedì e venerdì il passaggio a «una nuova fase di escalation nel confronto con il nemico israeliano» i cui sviluppi «saranno annunciati nei prossimi giorni».

Sono continuati nella giornata di ieri i bombardamenti a tappeto sul Libano del sud e nella valle della Beka’a. Diminuiti gli attacchi a Beirut: questa settimana l’aviazione israeliana ha colpito una sola volta il quartiere di Haret Hreik, nella periferia sud. «Israele si riserva però il diritto di attaccare Beirut in qualunque momento. E ovviamente viviamo nella paura costante», commenta la giornalista libanese Nayla Assaf.

UN NUOVO bilancio aggiornato emesso dal ministero della salute libanese ha alzato il numero di perdite umane, dall’inizio del conflitto in Libano l’8 ottobre 2023 a oggi, a 2.412 e quello dei feriti a 11.267. Sono nella giornata di giovedì 45 morti e 179 feriti.

Il Libano è allo stremo. Comincia a farsi pesante, dopo un mese, la crisi umanitaria dovuta al milione e mezzo di sfollati interni, crisi che potrebbe diventare anche sanitaria. Sono stati attivati i protocolli per tracciare casi di colera, dopo il caso di una donna 82enne trovata positiva a Sammouniyeh, nel nord. Il clima resta di grande tensione e il popolo libanese, ormai stanco e disilluso, vuole risposte concrete: quando e come la guerra finirà.

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