Al Cairo in questi giorni si sta consumando la cancellazione di un importante pezzo di storia culturale, sociale, urbanistica e architettonica. Il governo ha deciso di demolire le ‘awwamat, house-boats, le case-barche che dall’Ottocento hanno caratterizzato lo skyline di un tratto del Nilo.

Questa vicenda mi tocca da vicino non solo in quanto studiosa del mondo arabo contemporaneo, ma perché per un periodo della mia vita ho abitato in una di quelle case.

LE RAGIONI che mi portarono, giovanissima, a trasferirmi per un periodo della mia vita da una casa del centro storico di Napoli a una casa-barca al Cairo potrebbero forse aggiungere un tassello a quel racconto corale che sta prendendo forma in questi giorni dentro e fuori l’Egitto nella speranza di salvare materialmente o almeno nella memoria quell’incredibile patrimonio storico che le house-boats rappresentano.

Alla fine degli anni ’90 non eravamo in tanti/e a studiare il mondo arabo nelle università italiane, malgrado ci fosse una lunga tradizione di studi orientalistici. Tuttavia una forte motivazione ci muoveva a uscire dalle nostre comfort zone e cercare di comprendere mondi che ci erano contigui e che ci affascinavano per fantasie orientaliste e sogni rivoluzionari.

Le lotte per l’indipendenza dal colonialismo non erano così lontane, la Palestina era ancora al centro del dibattito politico pubblico e la cultura del mondo arabo iniziava a essere conosciuta anche in Italia.

NEL 1988 lo scrittore egiziano Naghib Mahfouz era stato insignito del Nobel per la letteratura. Parallelamente, grazie al lavoro di studiose e traduttrici visionarie, si aprivano in Italia collane editoriali che traducevano dall’arabo, oltre che dalle lingue dei colonizzatori, romanzi e poesie che ci permettevano di avvicinarci alle vite di coloro che vivevano sulla sponda sud-est del Mediterraneo.

Per comprendere meglio quel mondo che studiavo sui libri al mio primo anno di studi all’università scelsi di andare nella pausa estiva in Egitto. Umm al-Dunya, la madre del mondo, così come gli egiziani chiamano con orgoglio e amore il loro paese. E oggettivamente in quegli anni anche a me sembrava tale.

La sua capitale, il Cairo era stata un ribollire di progetti culturali e politici. Nel corso del Novecento la musica, il cinema, la politica, il panarabismo ne avevano fatto il centro del mondo arabo e oltre.

AVEVO VENT’ANNI quando arrivai al Cairo. Era estate e fui subito travolta dall’energia, la potenza e anche la fatica e la violenza di una città-mondo che ai miei occhi non dormiva mai. Giorno e notte sempre viva, sempre accesa, dava e toglieva energie. La si amava, la si odiava, la si amava di nuovo.

Dovevo rimanerci solo un mese per fare un corso di lingua araba, restai fino alla fine dell’anno. E andar via fu poi molto difficile. Dopo le prime settimane trascorse in un appartamento nell’isolotto borghese di Zamalek, mi trasferii con un gruppo di studentesse dell’università di Edimburgo nella più popolare zona di midan Kit Kat. Andammo a vivere su una casa-barca di legno sul Nilo.

Legata alla terra ferma da un stretto ponticello, per accedervi si attraversavano piccoli ma rigogliosi giardini, concimati dalle acque di quel grande fiume che da millenni rende fertile le terre attorno alle sue sponde permettendo la nascita di grandi civiltà.
La possibilità di andare a vivere su una casa sull’acqua fu una delle principali ragioni che mi spinsero a ritardare il mio ritorno in Italia.

Le house-boats avevano fatto la storia architettonica e culturale d’Egitto e conservavano un fascino profondo e romantico. Queste case-barche erano state luoghi di incontro di scrittori, intellettuali, attivisti, stranieri, persone che si tenevano ai margini della società benpensante, sebbene non siano mancate anche realtà più istituzionali che le hanno scelte per incontri e riunioni. Lo scrittore Naghib Mahfuz vi ha ambientato uno dei suoi romanzi più celebri: Chiacchiere sul Nilo.

L’HOUSE-BOAT dove mi trasferii era scarna e mal messa. D’inverno non si riuscivano a tappare tutti i buchi nel legno e faceva spesso freddo. Ma a vent’anni a questi dettagli non si fa molto caso e a fare da contrappeso c’era il silenzio e la pace che la casa sul Nilo regalava rispetto al caos delle strade cittadine.

Quando le barche, soprattutto le grandi navi, passavano la casa dondolava dolcemente. Dopo un po’ ci si abituava e quel moto diventava una forma dell’abitare.

Una volta a settimana arrivava dal fiume una barchetta per il cambio di biancheria della famiglia che abitava al piano di sotto. Il grosso bawab, il portiere, sempre sonnacchioso, si destava e li accoglieva con grandi sorrisi. Spesso insieme a lenzuola e a tovaglie pulite e stirate arrivavano anche pane e frutta.

Non mancava mai frutta meravigliosa nel loro appartamento. Di tanto in tanto – quando venivamo chiamate a raggiungerli nelle loro belle stanze per rispondere alle telefonate delle nostre famiglie dall’altra parte del Mediterraneo – ce ne facevano dono.

LA NOSTRA CASA sul Nilo era spesso attraversata da egiziani e stranieri che portavano con sé storie e lingue di cui mi nutrivo avidamente. Una delle mie coinquiline, figlia di un’eccentrica famiglia inglese che all’epoca viveva in Arabia saudita, aveva di tanto in tanto ospiti speciali: un decaduto discendente di re Farouk, un colto e alcolizzato professore inglese che aveva scelto l’Egitto come casa…e io stavo lì ad ascoltarne i racconti incrociandoli con quelli che leggevo nei romanzi di letteratura araba che trovavo nella biblioteca dell’istituto italiano di cultura al Cairo. Un mondo di realtà e immaginazione prendeva forma nella mia mente sulla terrazza che guardava il Nilo e ne era costantemente baciata.

Non lontana da casa nostra c’era l’house-boat azzurra in cui abitavano alcuni amici. Era bellissima. Le cene e le feste lì erano memorabili: un tripudio di sapori e di colori dall’Egitto e dal mondo.

Quelle case-barche sull’acqua vicino a midan Kit Kat hanno rappresentato una via di accesso privilegiata alla conoscenza del Cairo e dell’Egitto per me e per tanti/e altri. La storia della città è scritta nelle stanze e nelle terrazze che le compongono. Ma ora il governo egiziano ha scelto di cancellare queste case e le loro storie.

I nuovi progetti urbanistici che riguardano la capitale egiziana hanno decretato la demolizione di queste vecchie case-barca che per decenni hanno costituito lo skyline della città e del fiume che l’attraversa.

La scelta è giustificata in nome dello stato di decadenza (o presunto tale) delle case e soprattutto dalla volontà di far posto a più redditizie attività commerciali che taglieranno tutti i ponti con il passato, affermando un’idea di decoro fatta di cancellazione della storia.

GLI ABITANTI delle house-boats insieme a un movimento nazionale e internazionale hanno provato a resistere alla furia delle ruspe e alla violenza di un governo che, dopo aver silenziato le sue opposizioni riempendo le carceri del paese, vuole fare piazza pulita del suo passato.

La distruzione delle house boats si iscrive in un progetto, allo stesso tempo, commerciale e politico che vuole proiettare la città in un futuro senza radici e senza contestazioni.

*Docente di storia del mondo arabo contemporaneo, Università di Pisa

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Il Cairo che non c’è più: i bulldozer riscrivono la storia

La rimozione in corso delle case-barche sul Nilo non è che l’ultimo tassello di un più ampio progetto di trasformazione del volto del Cairo, un mix di gentrificazione e urbanistica di lusso, spesso appaltata a società del Golfo o alle stesse forze armate egiziane.

Delle oltre 200 house-boats che avevano punteggiato le coste del Nilo nella capitale non ne restavano che 32, tra il ponte 15 Maggio e il ponte Imbaba. Prima residenza estiva dei pasha ottomani, poi casa a scrittori, attori, cantanti che hanno fatto grande l’Egitto il secolo scorso, le prime 19 sono state svuotate a fine giugno, le altre 13 in questi giorni.

L’ordine del governo è tassativo, non si può vivere sulle case-barca, troppo insalubri. Ma ci si può lavorare. Sono gli stessi residenti a denunciarlo: le house-boat potranno essere usate a fini commerciali pagando un affitto annuo pari a quasi 50mila euro. Tre case-barche, scriveva nei giorni scorsi l’agenzia Mada Masr, sono già state messe all’asta.

Nel frattempo i residenti sono stati tutti multati, di somme molto simili, spesso impossibili da pagare. Eppure la locazione negli anni passati l’hanno sempre pagata finché nel 2020 lo stesso Stato non ha accettato più gli affitti e rinnovato le licenze. L’obiettivo è trasformare le rive del Nilo in un luna-park di lusso, dove non ci sia spazio per la storia.

Un piano in corso da anni: prima con lo sfratto di 4.300 famiglie e la demolizione delle antiche case e dei negozi di via 26 Luglio per sostituirle con il Maspero Triangle, hub finanziario e residenziale di lusso; poi con il tentativo di prendere l’isola Warraq, l’isola dei contadini e pescatori, a favore del progetto Horus, centro turistico moderno, con laghi artificiali e resort. Fino al rifacimento di piazza Tahrir, per cancellare anche il ricordo della rivoluzione del 2011. (chiara cruciati)