Legge marziale inutile, l’Isis uccide i civili come prima in Congo
Ituri/Nord Kivu I dati di Human Rights Watch indicano che le restrizioni imposte per combattere le Adf, affiliate allo Stato islamico, hanno reso solo meno libera la popolazione. E si aggrava l'emergenza degli sfollati interni
Ituri/Nord Kivu I dati di Human Rights Watch indicano che le restrizioni imposte per combattere le Adf, affiliate allo Stato islamico, hanno reso solo meno libera la popolazione. E si aggrava l'emergenza degli sfollati interni
Per far fronte all’endemica insicurezza delle Province dell’Ituri e del Nord Kivu lo scorso maggio il presidente congolese Félix Tshisekedi ha imposto la legge marziale e ha cercato di rafforzare la Monusco (missione delle Nazioni unite per la stabilizzazione nella Repubblica democratica del Congo) con l’ingresso di militari del Kenya.
Il risultato, secondo i dati raccolti da Kivu Security Tracker, progetto congiunto di Human Rights Watch e Congo Research Group, è che nel periodo maggio-settembre 2021 sono stati uccisi 739 civili: nello specifico vari gruppi armati, alcuni non identificati, hanno ucciso almeno 672 civili, mentre le forze di sicurezza congolesi hanno ucciso 67 civili. Il 2 agosto, le Forze democratiche alleate (Adf), un gruppo armato islamista guidato da ugandesi, avrebbero ucciso almeno 16 civili, tra cui 2 donne, nel villaggio di Idohu, nella provincia di Ituri. Secondo Human Rights Watch una dozzina di soldati dell’esercito congolese erano nel villaggio e altri erano di stanza in un campo militare nelle vicinanze, ma non avrebbero impedito l’attacco.
«Il governo congolese può riconoscere la necessità di una maggiore sicurezza nelle province dell’Ituri e del Nord Kivu, ma l’imposizione della legge marziale non ha portato tranquillità», ha dichiarato Thomas Fessy, ricercatore di Human Rights Watch. «Nonostante gli sforzi del governo per trasformare le sue azioni in successi militari, molte persone nell’est del Congo vivono ancora nella costante paura del prossimo massacro».
Dal confronto delle violenze prima e dopo la messa in atto della legge marziale il numero di civili uccisi negli attacchi è rimasto sostanzialmente invariato. Ma secondo il portavoce del governo Patrick Muyaya la legge marziale è una «terapia d’urto», non un’azione permamente: «Siamo convinti che la soluzione non può essere solo militare, ma deve essere prima militare».
Il leader delle Adf Seka Baluku ha promesso fedeltà allo Stato islamico nel 2019, ma l’entità dei legami tra i due gruppi resta poco chiara, secondo quanto rilevato da un team di esperti dell’Onu non vi sono al momento «prove del comando e del controllo dell’Isis sulle operazioni delle Adf, né del sostegno finanziario e militare dell’Isis alle Adf».
Il gruppo ha intensificato gli attacchi contro civili e forze governative nel territorio di Beni, Nord Kivu, con almeno 18 episodi registrati e 90 civili uccisi nel solo luglio. Secondo i ricercatori di Hrw non tutti gli attacchi sarebbero attribuibili alle Adf, ma potrebbero essere stati coinvolti altri gruppi armati e alcuni elementi dell’esercito nazionale.
Rapporti credibili affermano che le truppe congolesi hanno recentemente utilizzato l’etnia Banyabwisha del Nord Kivu, compresi disertori dell’Adf, come forze che combattono per procura le Adf stesse nell’area Tchabi nell’Ituri.
Il movimento cittadino Lotta per il cambiamento (Lutte pour le changement, o LUCHA) ha invitato le autorità a porre fine alla legge marziale nelle province di Ituri e Nord Kivu, perché non ha fatto diminuire gli attacchi contro i civili e viene utilizzata per restringere drasticamente le libertà fondamentali di espressione e associazione.
A seguito di un’indagine interna sono stati arrestati diversi ufficiali per aver mantenuto a libro paga soldati inesistenti (secondo un’indagine interna alle forze armate su 21.298 soldati ufficialmente dispiegati solo 16.835 sarebbero effettivamente presenti). In più c’è il problema della presenza di ufficiali congolesi ricercati dalla giustizia militare per gravi crimini che compromette i rapporti tra l’Onu e l’esercito congolese, impedendo il pieno appoggio alle operazioni militari. Ufficialmente la Missione Onu in Congo non può sostenere un’unità comandata da uno o più ufficiali sospettati di aver commesso crimini. Alcuni generali e alti ufficiali sono sospettati e indagati per stupri, omicidi, rappresaglie contro i civili, di appoggio ai ribelli nonché di traffico di minerali in combutta con gruppi armati.
Più di 100 gruppi armati continuano ad operare nell’est del Congo generando come effetto collaterale degli attacchi un numero crescente di sfollati interni: 1,8 milioni nel Nord Kivu e 1,7 milioni nell’Ituri. Secondo l’Ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha), 2,8 milioni di persone sono colpite da un’insicurezza alimentare acuta nel solo Ituri.
Anche i giornalisti non se la passano bene secondo National Press Union in Congo (Unpc): ogni giorno due giornalisti sono vittime di intimidazioni e minacce di morte nell’Ituri.
Per la pace in Congo non serve la legge marziale, basterebbe il rispetto dei diritti (o alla peggio un editto marziano).
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