Arriva un colpo di freno sulla legge elettorale e Nicola Zingaretti stavolta si infuria davvero. Così ieri pomeriggio il gruppo Pd della camera fa sapere di aver chiesto di riconvocare l’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali per cambiare la decisione presa e andare avanti. Ma avanti per dove è tutto da vedere.

Sulla riforma – necessaria per raddrizzare le inemendabili storture della rappresentanza che provocherà il taglio dei parlamenti – la questione si ingarbuglia. Dall’accordo di maggioranza sul testo base, il “Germanicum” (un proporzionale con sbarramento al 5%) Iv si è sfilata: ora vuole il maggioritario; e Leu ha annunciato l’astensione causa uno sbarramento giudicato troppo alto.

Ieri mattina in commissione il presidente Giuseppe Brescia, grillino, deve rassegnare a un’evidenza: per la giostra degli abbandoni e dei cambi di gruppo i 5s si trovano con un commissario in più. Una commissaria, per la precisione: la deputata “eccedente” Anna Bilotti, trasferita in commissione Giustizia, non risulta ancora decaduta. Il problema viene sollevato da Forza Italia, le forze di maggioranza devono prendere atto. Brescia fa sapere che chiederà al presidente del la camera Fico il rinvio della discussione in aula.

La notizia però scatena l’ira del segretario Pd. Dal Nazareno viene raccontato che se la prende con tutti, renziani, 5 stelle, Conte, ma anche con i suoi in commissione. Perché il ritardo è già troppo, e il problema è politico e di primissimo ordine: «Nell’accordo alla base di questo governo, stabilito nell’agosto del 2019, c’è la scelta della riduzione del numero dei parlamentari insieme ad alcune modifiche dei regolamenti e ad una nuova legge elettorale per scongiurare rischi di pesanti distorsioni della rappresentanza», spiega. A pochi giorni dall’avvio del governo il Pd «ha onorato l’impegno di votare la riduzione» pur avendo per tre volte votato no. Ma ora bisogna procedere verso la legge elettorale: «Almeno in un ramo del parlamento deve essere votato prima del referendum del 20 settembre il testo base, se non vogliamo perdere credibilità rispetto ad impegni solennemente e collegialmente assunti». E se Iv si sfila, il Pd è pronto a cercare il voto anche nelle opposizioni. Anche se Salvini avverte: «Se si vota dopo una settimana sì. La legge elettorale è l’ultima delle priorità degli italiani». In realtà il voto anticipato non piace a nessuno, e i parlamentari non hanno fretta di approvare una nuova legge elettorale. Ma Zingaretti non può accettare di aver inghiottito il rospo del taglio dei parlamentari senza contropartita. E rifiuta l’accusa di voler «accelerare» l’iter della legge, «casomai si tratta di recuperare un ritardo».

Nel pomeriggio la deputata “eccedente» decade formalmente. E il Pd corre ai ripari: l’ufficio di presidenza della commissione decide rinviare la decisione sulla tempistica della legge dopo la conferenza dei capigruppo. Che si riunisce oggi alle 14. «Il gruppo del Pd chiederà che l’adozione del testo base abbia luogo nel primo giorno utile, cioè nella giornata di lunedì», annuncia il deputato Ceccanti.

Ma c’è un problema. In commissione la maggioranza ha i voti traballanti. I favorevoli al testo sono 23 (15 grillini, 7 dem, uno del misto) i contrari 24 (7 forzisti, 9 della Lega, 3 Fdi e 3 Iv), c’è un astenuto (Leu). Che però non è contrario a votare lunedì. Ma il rischio è che la legge rallenti comunque. E che il Pd a settembre si trovi nella beffarda condizione di affrontare il voto referendario senza neanche aver ottenuto la nuova legge elettorale.