Il rischio che i deputati siano costretti a sostituire il cenone con uno spuntino in aula ci sta tutto. Quello dell’esercizio provvisorio non è del tutto dissipato: non sarebbe un dramma e nella prima Repubblica è già successo più di una volta. Ma il segnale sarebbe nefasto e in fondo cos’è questa manovra se non una somma di segnali?

IN COMMISSIONE BILANCIO, alla Camera, il voto sugli emendamenti slitta sino alla sera. Le opposizioni chiedevano che si cominciasse alle 14. La maggioranza neppure le ascolta e riconvoca la commissione per le 18.30.

La conferenza dei capigruppo, che dovrebbe fissare i tempi per il passaggio in aula, non può fare altro che rinviare a propria volta la decisione, in attesa che la situazione nella Bilancio si sblocchi.

Il governo comunque insiste: l’approvazione di Montecitorio deve arrivare nella notte tra il 23 e il 24. Però nessuno può giurare che non sarà invece necessario festeggiare il Natale a colpi di voti in aula.

Che la maggioranza abbia bisogno di tempo per continuare a riscrivere la manovra, dopo cinque pacchetti di emendamenti che la hanno già modificata sensibilmente, è palese. Quali siano i nodi della discordia invece resta oscuro. Chiarissimo è solo che la maggioranza e il governo, pur essendo davvero partiti in forte ritardo non per loro colpa, ci hanno poi aggiunto del loro muovendosi senza lucidità e anzi con piena inefficienza.

BASTI DIRE CHE IERI, nel caos dilagante, la decisione di stralciare la norma sui pagamenti Pos, azzerando ogni tetto e tornando alla posizione di partenza, si era trascinata dietro anche lo stralcio del tetto di 5mila euro del contante, sul quale invece il governo non arretra di un centesimo.

La stessa retromarcia sul Pos ha destato ieri alcuni sospetti, chissà se fondati. Il testo approvato dal cdm il 21 novembre era calibrato in modo da aggirare le obiezioni di Bruxelles. Quello inviato due giorni dopo alla Camera era stato modificato in modo da rendere praticamente certo l’urto con la Commissione.

Inevitabile il dubbio che la modifica in extremis servisse a mettere in campo un oggetto di contesa da spendere sul tavolo delle trattative, ritirandolo al momento giusto. Ma nulla prova che non si sia trattato invece solo di un ennesimo passo goffo e maldestro.

Al momento ci sono alcune certezze, sufficienti per indicare il senso del “segnale”, pardon della manovra, ma anche per capire quali tra le forze di maggioranza escono più soddisfatte e quali torneranno a casa col carniere vuoto.

Confermata l’ulteriore sforbiciata al reddito di cittadinanza: l’anno prossimo conterà solo 7 mesi. Perdono solo i poveri e dunque è festa non solo tra le file della maggioranza. Porterà in cassa circa 220 miliardi e altri 253 dovrebbero arrivare dall’aumento dal 14 al 16% dell’aliquota sulle partecipazioni e sui terreni agricoli edificabili.

LA SOGLIA DI REDDITO per godere del punto in più di taglio del cuneo fiscale, tutto a favore dei dipendenti, sale da 20 a 25mila euro. Poco ma nella giusta direzione.

La rivalutazione delle pensioni tra 4 e 5 volte il minimo per l’inflazione passa dall’80 all’85%. La decontribuzione per chi assume giovani sale da 6mila a 8mila euro: era una delle principali richieste di Fi che canta vittoria.

La goccia di veleno è che la decontribuzione scatta solo se si assumono percettori di rdc. Le pensioni minime salgono a 600 euro purché si siano superati i 75 anni e anche questo è un successo del partito azzurro. Con un paletto in più: l’aumento vale solo per il 2023, poi si vedrà.

I mutui a tasso variabile per la prima casa fino a 200mila euro potranno passare a tasso fisso senza che le banche possano opporsi ma solo nella fascia Isee fino a 35mila euro l’anno. È un risultato netto raggiunto da Berlusconi anche la proroga fino al 31 dicembre della dichiarazione di avvenuto inizio lavori per accedere al vecchio Superbonus, quello del 110%.

LA LEGA CONQUISTA la riduzione dell’Iva sul Pellet ma sono fino al 10% (chiedeva il 5%). Respinta invece l’offensiva per portare da mille a 1500 euro il limite della cartelle stralciate.

Non cambia neppure, per ora, Opzione Donna: resta la possibilità dell’anticipo dell’età pensionabile a 60 anni con uno in meno per ogni figlio fino a un massimo di due. Norma assurda e difficilmente accettabile per la Consulta che potrebbe però essere modificata nel corso del rapidissimo iter parlamentare.

La corsa dovrà essere davvero da perderci il fiato: domani in aula, giovedì la fiducia, venerdì la conclusione.