Per chi si ferma ai titoli di testa, con il decreto legge approvato lo scorso primo febbraio dal Consiglio dei ministri (Cdm) su proposta del ministro Roberto Calderoli, l’autonomia differenziata è cosa fatta, una questione procedurale da sbrogliare in pochi mesi. È questo sentire comune che consente alla Lega di esultare, di considerare il deliberato del Cdm un risultato storico e di spenderlo in campagna elettorale per mantenere il suo potere in Lombardia.

In realtà il testo approvato in Cdm, oltre a perseverare nel riproporre una riforma profondamente sbagliata, è quanto di più contorto e contraddittorio si possa immaginare. È lo stesso Calderoli ad aver spiegato in conferenza stampa, in assenza della presidente Meloni ma in compagnia di Casellati e Fitto, che – dopo l’approvazione da parte del Parlamento, la definizione e il varo dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) – si dovrebbe arrivare a inizio 2024 con l’esame delle richieste di autonomia differenziata deliberate dalle regioni che, seguendo l’iter appena approvato, dovranno essere valutate, sottoposte a un negoziato con la presidenza del Consiglio e il ministro per gli affari regionali e le autonomie per divenire uno “schema di intesa preliminare tra Stato e regioni” da approvare in Cdm e trasmettere alla Conferenza unificata e quindi alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari che esprimono un indirizzo utile al perfezionamento di uno “schema di intesa definitivo” da sottoporre a ulteriore negoziato che porterà, infine, a un nuovo schema da approvare in regione, deliberare in Cdm e sottoporre all’approvazione delle Camere, prima che l’intesa venga sottoscritta dal Presidente del Cdm e dal Presidente della Giunta regionale e possa, infine, essere portata in Parlamento per l’approvazione definitiva con maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.

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Se lo scorso primo febbraio è stata una data storica per il progetto di autonomia differenziata, cosa si dovrebbe allora dire dell’intesa già raggiunta il 28 febbraio 2018 con la firma degli “accordi preliminari” tra il governo Gentiloni di centro-sinistra e le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto? Per capirne di più bisogna andare a leggere il resoconto della seduta della Camera dei deputati di martedì 26 settembre 2000 che aveva in discussione, e ha approvato, quel progetto di legge costituzionale. Così Umberto Bossi: “Denunziata l’ispirazione «giacobina» di una riforma improntata a rigidità e che non ha alcun contenuto federalista, preannunzia che la Lega ed il Polo si preparano a contrastare duramente una maggioranza proterva ed in cui predomina una concezione «stalinista» dello Stato”. Questo il giudizio sulla riforma del vecchio leader leghista.

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Quanto alla “proterva” maggioranza che ha fortemente voluto quella riforma si può ascoltare quello che qualche giorno fa ha detto Stefano Bonaccini, lo stesso dell’intesa con il governo Gentiloni ma ora impegnato a recuperare consensi fra gli amici del Sud nella sua corsa alla segreteria del Pd: “il Ddl Calderoli è irricevibile: spacca il paese e penalizza il Mezzogiorno”. L’applicazione della riforma costituzionale del 2001, voluta dal centro-sinistra e respinta in aula dal centro-destra, è divenuta la ragion d’essere della Lega ma è ora inaccettabile per il Pd. Misero il paese nel quale le forze politiche, per un tornaconto elettorale immediato, giocano persino con l’architettura istituzionale dello stato.