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Legge anti Lgbtq, Bruxelles ricorre alla Corte di Giustizia

Legge anti Lgbtq, Bruxelles ricorre alla Corte di Giustizia

Ungheria, le nuove nome volute da Orbán La Commissione Ue: «Le norme violano i diritti fondamentali degli individui»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 16 luglio 2022

Lo scontro sui diritti tra Unione europea e Ungheria ha fatto un altro passo in avanti. Ieri la Commissione europea ha deferito Budapest alla Corte di Giustizia dell’Ue per la sua legge contro le persone Lgbtq. Una legge voluta personalmente dal premier Viktor Orbán per vietare la «promozione dell’omosessualità tra i minori» e pensata prendendo a modello un provvedimento analogo varato nel 2013 dalla Russia di Putin. In realtà la presunta volontà di tutelare i minori è solo un pretesto per colpire le comunità arcobaleno del paese. Non a caso il provvedimento è stato definito nei mesi scorsi «vergognoso» dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. «La legge – hanno spiegato ieri fonti della Commissione motivando il ricorso alla Corte – contiene disposizioni che non sono giustificate sulla base della protezione dei minori o che sono sproporzionate a raggiungere tale interesse fondamentale».

Il ricorso ai giudici di Lussemburgo è un passaggio obbligato dopo la procedura di infrazione avviata dalla Commissione a luglio del 2021, appena un mese dopo l’approvazione della legge anti Lgbtq da parte del parlamento ungherese. Soprattutto a causa delle risposte, giudicate insufficienti, fornite dal governo di Budapest alle osservazioni della Commissione. In particolare la legge inserisce il divieto di mostrare ai minori, nei media e nelle scuole, qualsiasi contenuto che ritragga o promuova l’omosessualità o il cambio di genere. Come già fece in passato con le leggi contro i migranti, anche in questo caso Orbán ha cercato di avere il sostegno degli ungheresi indicendo lo scorso mese di aprile un referendum in contemporanea con le elezioni politiche. Come accadde con i migranti, anche i questo caso però i quesiti non hanno ottenuto il quorum. In compenso le nuove norme – denunciano le associazioni Lgbtq – hanno avuto come conseguenza un aumento delle aggressioni contro le persone omosessuali, al punto che chi ha potuto ha preferito trasferirsi all’estero, principalmente a Berlino e Amsterdam. «Di fatto l’omosessualità è equiparata alla pedofilia, ci si riferisce alle comunità Lgbtq come ad una minaccia per i minori», è la denuncia che arriva della associazioni.

La legge magiara, è scritto tra le motivazioni fornite dalla Commissione alla Corte di Strasburgo, viola «in modo sistematico diversi diritti fondamentali» sanciti dalla Carta dei diritti Ue, tra cui l’inviolabilità della dignità umana, il diritto alla libertà di espressione e di informazione, il diritto alla vita privata e familiare nonché il diritto alla non discriminazione.

Il braccio di ferro con Bruxelles arriva in un momento in cui Orbán deve fare i conti anche con un forte malcontento sociale presente in maniera sempre più forte nel Paese a causa dell’aumento e delle tasse e della soppressione delle cosiddette «bollette sotto i costi».
Centinaia di manifestanti hanno bloccato anche ieri, per il quarto giorno consecutivo, un ponte nel cuore di Budapest causando disagi enormi per il traffico. La polizia ha fermato molti manifestanti.

La protesta si è scatenata quando il governo, da un giorno all’altro, ha introdotto una riforma fiscale che aumenta le tasse per circa 3-400 piccoli imprenditori e freelance. Un altro provvedimento sopprime le «bollette fissate sotto i costi», introdotte nel 2014 ma insostenibili ormai con la crisi energetica. I costi dell’energia per le famiglie aumenteranno da agosto drasticamente e Orbán, nell’intervista settimanale alla radio pubblica Mr Kossuth, ha chiesto comprensione ai concittadini che lo hanno votato perché «ormai viviamo tempi di guerra che necessitano un’alleanza». «Tutte le parole di Orban nella campagna erano menzogne, ora lo vediamo», ha risposto davanti ai manifestanti Peter Marki-Zay, leader dell’alleanza democratica sconfitto alle elezioni.

Il malcontento generale non tende a placarsi anche alla luce dell’inflazione del 11,7%, ai massimi da 20 anni e del calo brusco del fiorino, causato anche dal deficit aumentato.

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