Gli ultimi a unirsi, ieri, sono stati Francia e Germania portando così a 15 il numero degli Stati che, insieme al Parlamento europeo, si uniranno alla Commissione Ue nella causa intentata da quest’ultima presso la Corte di giustizia europea contro la legge ungherese che vieta «la promozione dell’omosessualità» ai minori. C’era tempo fino al 6 aprile per farlo e gli altri Stati che non hanno perso l’occasione per dimostrare che i diritti delle persone in Europa non sono solo uno slogan da spolverare nelle campagne elettorali, sono Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Danimarca, Irlanda, Malta, Austria, Finlandia, Svezia, Slovenia e Grecia.

Manca, come è facile notare (ma ormai non fa quasi più notizia) l’Italia, che in questo modo conferma la vicinanza del governo delle destre all’Ungheria di Viktor Orbán, con il rischio di aumentare ancora di più il suo isolamento in Europa.

Orbán e Meloni, foto di Oliver Hoslet /Ansa

LA LEGGE in questione è stata varata dal parlamento di Budapest nel 2021 e, in nome di una presunta difesa dei bambini, vieta di mostrare ai minori, sia nei media che nelle scuole, qualsiasi contenuto che ritragga o promuova l’omosessualità o il cambio di sesso.

Ad aprile dell’anno scorso Orbán, alla ricerca di una legittimazione popolare, decise anche di indire un referendum sulle nuove norme, che però risultò nullo per non aver raggiunto il quorum. In compenso Bruxelles, allarmata per l’ennesima restrizione delle libertà in Ungheria, decide di aprire una procedura di infrazione chiedendo spiegazioni a Budapest.

«E’ una legge vergognosa», disse in quell’occasione la presidente della Commissione Ursula von der Leyn, spiegando che l’Ungheria violava i valori europei e i diritti fondamentali degli individui, in particolare delle persone Lgbtiq. Per quanto riguarda la protezione dei bambini, Bruxelles ha poi ribadito di considerarla una priorità assoluta per l’Unione e gli Stati membri, individuando però nel provvedimento ungherese disposizioni che «non sono giustificate sulla base della promozione di questo interesse fondamentale, o sono sproporzionate a raggiungere l’obiettivo dichiarato».

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Per tutta risposta il 9 marzo scorso Budapest ha presentato un controricorso alla Corte di giustizia europea contestando la procedura di infrazione. L’istruzione è di «competenza nazionale», ha spiegato la ministra della Giustizia Judit Varga, per la quale è diritto dei genitori «decidere in merito all’educazione dei propri figli».

La legge sul «divieto di promozione dell’omosessualità» ai minori rischia di non essere l’unica contro le persone Lgbtq che vivono in Ungheria. Un altro provvedimento in via di approvazione – e che secondo alcuni analisti avrebbe nel mirino le comunità Lgbtq – prevede infatti la possibilità per i cittadini di sporgere denunce anonime per difendere lo «stile di vita ungherese».

IN PRATICA, se la legge dovesse passare, chiunque in futuro potrà rivolgersi alle autorità denunciando comportamenti che «violando l’interesse pubblico», dovessero urtare il modo di vivere ungherese.

L’ITALIA, paese fondatore dell’Unione europea, si trova così oggi a difendere Orbán e le sue leggi, insieme a Polonia, Romania, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovacchia.

«Dopo lo stop alle registrazioni dei figli famiglie Arcobaleno, un altro passo del nostro paese verso l’omofobia di Stato. Con Meloni l’Italia si pone in rotta d collisione con l’ue», ha commentato il segretario di +Europa Riccardo Magi, mentre per Raffaella Paita, la capogruppo di Azione-Italia Viva, «Meloni continua a isolare l’Italia schierandosi al fianco di Orbán invece d contrastare la vergognosa legge anti-Lgbtq+ insieme agli altri paesi Ue»