Una legislatura, tre crisi di governo, una pandemia e una guerra. Può sembrare bizzarro, ma il tema della cannabis, nonostante lo scenario, è riuscito a resistere nell’agenda istituzionale. In realtà è solo l’indice del fatto che la questione è ben più seria e sentita di quanto i partiti e i loro leader pensino.

La crisi di governo è arrivata proprio durante la discussione di un disegno di legge sulla coltivazione domestica di 4 piante di cannabis, che era nato in Commissione Giustizia su iniziativa degli onorevoli Riccardo Magi e Caterina Licatini. E sul quale molta pressione hanno fatto le organizzazioni della società civile impegnate sul tema.

Anche questa volta, nulla di fatto. Ma non basterà il tentativo dei leader dei partiti di area progressista di far finta di nulla e aspettare che le discussioni si sopiscano, in qualche modo. Tanto più che i loro stessi elettorati sono attenti alla questione: secondo un sondaggio condotto da Swg, il 74% degli elettori del Pd e l’81% di quelli del M5S si è dichiarato favorevole alla legalizzazione della cannabis.

Lo scorso anno il Segretario del Pd Enrico Letta aveva pubblicamente dichiarato la necessità di «aprire un dibattito per arrivare a una posizione comune sul tema della cannabis» utilizzando il metodo delle Agorà Democratiche per trovarne una. Nell’ultimo anno è aumentato l’interesse da parte dei propri iscritti che hanno organizzato nei diversi circoli Pd più di 140 eventi sulla cannabis, presentando 19 iniziative nell’Agorà supportate da oltre 600 iscritti. Negli scorsi giorni, durante la relazione alla direzione nazionale, Letta ha presentato la lista «Democratici e Progressisti» nata proprio dal lavoro comune di idee e proposte emerse dalle Agorà. Per quanto il Segretario del Pd non abbia mai apertamente preso una posizione, questi elementi non possono che dimostrarsi vincolanti per la stesura del prossimo programma elettorale.

Quanto al M5S, il tema della legalizzazione non era incluso nel programma elettorale del 2018 quando si presentarono agli elettori come movimento di rottura. Ciononostante, sono stati registrati diversi avvenimenti positivi in questa legislatura: la convocazione della Conferenza nazionale sulle droghe da parte della ministra Dadone, dopo oltre 10 anni di rinvii, in cui sono emerse delle chiare indicazioni a favore della decriminalizzazione della coltivazione domestica; e infine, l’impegno del Presidente della Commissione Giustizia Perantoni e di altri esponenti del M5S nel supportare il ddl sulla coltivazione domestica.

Tuttavia ciò che avrebbe fatto davvero la differenza non è accaduto, ovvero la calendarizzazione della legge di iniziativa popolare sulla cannabis. Nel suo discorso di insediamento come presidente della Camera, Roberto Fico aveva promesso la discussione delle leggi di iniziativa popolare. Ma non l’ha mai fatto. Ecco, nel momento in cui assistiamo al tentativo del M5S di tornare ai valori delle origini, forse è il caso che tra quei valori recuperino anche la questione della democrazia diretta. Dell’obbligo di discussione delle leggi popolari e della possibilità di presentarle raccogliendo le firme con Spid su una piattaforma del governo (che avrebbe dovuto essere attiva da gennaio ma di cui non abbiamo notizie ad oggi).

Insomma l’appello ai progressisti, a quelli che si presentano e considerano tali è questo: Giorgia Meloni, Matteo Salvini Silvio Berlusconi sulla cannabis non hanno dubbi. Insieme all’immigrazione è l’argomento con cui aprono e portano avanti la loro propaganda. Con cui spaventano le persone, aumentano un sistema ingiusto, e dannoso. Una finta guerra alla droga che ha come bersaglio ragazzi e ragazzini ma che non si pone il problema della lotta alla mafia.

Ecco, nel momento in cui ci si presenta come alternativa a Meloni, Salvini e Berlusconi bisogna rispondere qual è l’idea che si ha anche su questo tema. Far sapere se si sceglie lo status quo, facendo spallucce, oppure se si ha il coraggio e il buonsenso di dire che questo sistema ha fallito e va cambiato.