Nel 1961, ‘71 e ‘88 le Nazioni unite hanno adottato tre Convenzioni internazionali che hanno incluso in quattro tabelle – a seconda della pericolosità e/o dell’utilità terapeutica – il papavero, la foglia di coca, quella di cannabis e i loro derivati, insieme ad altre molecole ottenute anche attraverso la sintesi chimica. Le Convenzioni non allegano evidenze scientifiche che giustifichino la tabellizzazione: quando si parla di “droghe” la comunità internazionale ha sempre preferito consegnare al diritto penale il governo di fenomeni che accompagnano l’esperienza umana da millenni. L’unica possibilità di revisione della collocazione di quanto catalogato dalle Convenzioni è rimessa alla Commissione Droghe dell’Onu – in oltre 60 anni, grazie a una raccomandazione dell’Oms, si è arrivati a cancellare solo la cannabis dalla I tabella evidenziandone gli impieghi terapeutici e prendendo atto che la sua diffusione non medica non crea problemi per la salute o l’ordine pubblico.

Da qualche anno però le cose stanno cambiando. Dopo gli “eccessi” degli anni ‘60, è negli Usa che si sta verificando un rilassamento di leggi e politiche in materia di stupefacenti. A metà anni ‘90 grazie a mobilitazioni popolari è arrivata la prescrivibilità della cannabis medica, successivamente una progressiva depenalizzazione dell’uso anche non medico della marijuana fino alle più recenti novità sui funghi allucinogeni.

Questo cosiddetto «rinascimento psichedelico» a stelle e strisce è stato “ispirato” e accompagnato da un significativo aumento di ricerche pubbliche e private che dimostrano i potenziali impieghi terapeutici di psilocibina, Mdma, Dmt (la molecola dell’ayahuasca) e Lsd. Come per la cannabis, l’uso, la vendita e il possesso degli psichedelici restano però illegali a livello federale rendendo laboriosa coltivazione, commercio e consumo, impedendo il trasporto inter-statuale e proibendo l’apertura di conti in banca – anche per chi la vende per fini terapeutici. Una rivoluzione non del tutto compiuta.

Il Rinascimento nel frattempo ha raggiunto l’Australia che a febbraio 2023 è diventata il primo Stato a riconoscere psilocibina e Mdma come vere e proprie medicine: l’Mdma potrà esser utilizzato per trattare lo stress post-traumatico mentre i funghi potranno essere impiegati per la depressione resistente ad altri terapie. Un numero crescente di studi, ricerche – e prime applicazioni cliniche – segnalano che gli psichedelici aiutano, tra gli altri, il dolore del fine vita in tutte le sue molteplici forme fisiche, psicologiche ed esistenziali. Il lavoro all’Imperial College di Londra e alla Johns Hopkins University e decine di dipartimenti in giro per gli Usa sta facendo fare passi da gigante alle sperimentazioni cliniche di queste molecole. Grazie ai decenni di lavoro dell’americana Maps, la Food and Drug Administration dovrebbe registrare l’Mdma come farmaco per la cura dello stress post-traumatico entro il 2024. A quel punto anche l’Ema non potrà che fare altrettanto per l’Ue e lo scenario sarà radicalmente cambiato anche in Europa.

In Italia per il momento gli psichedelici restano sconosciuti sia in termini di ricerca che di uso medico, eccezion fatta per l’esketaminama, alcune norme recenti potrebbero consentire delle sperimentazioni. La legge sul testamento biologico per esempio prevede il diritto a esser accompagnati alla fine della vita con minore sofferenza. Accanto al diritto di rifiutare le cure, a non subire ostinazione irragionevole delle stesse, ed ad accedere al suicidio assistito (in presenza delle quattro condizioni sella sentenza Cappato della Corte costituzionale del 2019 ), il diritto al testamento biologico e a partecipare alle scelte condivise sulla propria cura, si affiancano anche il diritto a fruire della terapia del dolore e quello di valersi della sedazione palliativa.

Secondo una legge del 2010 le cure palliative sono «l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti alla persona malata e al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici». La terapia del dolore è l’insieme di «interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore».
Ci sono infine anche le cosiddette cure compassionevoli (art. 83 del regolamento Ue 726/2004 e Dm 7 settembre 2017) cioè scelte finalizzate a offrire al morente terapie al momento solo sperimentali per la cura della malattia, in linea col diritto a tentare il tutto e per tutto (the right to try in ambito anglosassone) se non per guarire, almeno per continuare a sperare.

Le nostre leggi “sopportano” quindi l’incertezza – altrimenti non tollerata – dell’uso terapeutico di farmaci o sostanze non ancora approvate per poter offrire il “male minore” a persone con la stessa patologia a condizione che: non esistano valide alternative terapeutiche; si sia in pericolo di vita o grave danno alla salute – o si tratti di grave patologia a rapida progressione -; non sia in corso una sperimentazione, cioè non vi sia già un protocollo in cui inserire il paziente; sussista il parere del Comitato etico della struttura; esista un consenso informato; vi sia chi si assuma la responsabilità medica della prescrizione; e infine esistano dati scientifici, anche internazionali, che accreditino in qualche modo la terapia.

La soppressione e il controllo del dolore possono e devono comprendere il dolore esistenziale e psicologico del morente o la cura compassionevole di chi vive con depressione cronica. Anche se il testo unico sulle droghe del 1990 ha inserito gli psichedelici in tabella 1, non ne proibisce l’uso per terapie ad hoc come cure palliative o compassionevoli, o terapie del dolore. Basterebbe un decreto ministeriale per regolamentarlo.

Le Convenzioni Onu furono adottate per favorire l’accesso alle piante mediche e le loro molecole psicoattive. Affinché il «rinascimento psichedelico» arrivi in Italia, occorre condividere i risultati sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci prodotti all’estero, promuoverne di italiani e agire per un loro utilizzo sperimentale a normativa vigente. L’attuale clima politico non è favorevole ma, su certi temi, non lo è mai stato…