Le strade di New York come un romanzo di formazione criminale
«Banditi in posa a Mulberry Street». Una foto di fine 800 di Jacob Riis
Cultura

Le strade di New York come un romanzo di formazione criminale

Letteratura statunitense «Gli aghi d’oro» di Michael McDowell, già autore della serie narrativa «Blackwater», per Neri Pozza. Nel 1882 il giudice Stallworth guida una crociata contro il quartiere del vizio e le sue donne
Pubblicato 8 mesi faEdizione del 31 gennaio 2024

«Nessuna città al mondo ha la memoria corta quanto New York». L’opinione che Michael McDowell consegna ai lettori nelle ultime pagine di Gli aghi d’oro (Neri Pozza, pp. 554, euro 14,90) appare difficile da smentire se solo ci si sofferma sul fatto che la storia di cui si è giunti al termine non rappresenta che un frammento dei tanti che, strato dopo strato hanno contribuito a definire il profilo della metropoli dell’Hudson.

L’IMMAGINE di quella realtà che McDowell fissa con il suo romanzo intorno al 1882, non è ad esempio già più la stessa che Herbert Asbury aveva delineato in Gangs of New York, la sua inchiesta sull’incandescente realtà sociale della città alla vigilia della Guerra civile americana che si era combattuta solo vent’anni prima. Asbury descriveva la zona dei cosiddetti Five Points, teatro di violente lotte tra bande criminali nelle quali si specchiavano anche i sussulti identitari che hanno accompagnato il Paese fin dalla sua formazione: in quel caso i «Nativi», anglosassoni, protestanti e nazionalisti si contrapponevano ai «Conigli Morti», irlandesi e cattolici.

Per molti versi antesignano dell’attuale giornalismo narrativo, Herbert Asbury era un cronista originario del Missouri, e cresciuto in una famiglia evangelica molto religiosa, che nell’America degli anni della Grande depressione scelse di raccontare il lato in ombra, e decisamente sinistro dello sviluppo urbano, descrivendo via via con i suoi libri e reportage il mondo criminale di Chicago, San Francisco, il gioco d’azzardo o la genesi oscura della «grande nazione» come accade proprio nel suo The Gangs of New York: An Informal History of the Underworld, uscito nel 1928 e adattato in modo straordinario per il cinema nel 2002 da Martin Scorsese.

In Gli aghi d’oro, Michael McDowell sembra riprendere il filo narrativo che la lotta tra le gangs newyorkesi aveva lasciato interrotto, proiettando però verso il futuro, l’annunciato Novecento, la materia ribollente di cui sembra essere composta l’anima della città. La metropoli edificata su cimiteri di indigeni e schiavi, dove si sono combattuti per procura, e a colpi di carta bollata e decreti, alcuni degli scontri religiosi che hanno incendiato la vecchia Europa, si va profilando nel segno della desolazione e degli stridenti contrasti sociali.

Al punto che nello sguardo di McDowell l’anno nuovo si annuncia così: «Per la madre irlandese che vagava a Battery Park, con la sua creatura senza vita ancora stretta al seno; per il bottegaio italiano che aveva appena venduto l’ultimo avanzo di carne equina guasta agli occupanti delle baracche abusive erette ai margini della distesa di cantieri stradali oltre l’Ottantesima (come per) i delinquenti la cui delinquenza non offriva una protezione certa dalla povertà che avevano cercato di sfuggire; i mediamente agiati e moderatamente rispettabili; i moderatamente agiati e molto rispettabili; e i ricchi, la cui ricchezza era tale da non doversi preoccupare della rispettabilità – per tutti loro l’Anno del Signore 1882 era cominciato».

NON A CASO, in quest’opera dello scrittore dell’Alabama, scomparso prematuramente nel 1999 prima di compiere 50 anni, e prima di vedersi riconosciuta la gloria oggi tributata alle sue opere che intrecciano con grande forza fantastico e noir, gotico e horror – a Neri Pozza di deve già la pubblicazione della serie di Blackwater -, si confrontano due mondi.

Da un lato c’è il «Triangolo Nero», stretto tra MacDougal, Canal e Blecker Street, dove allignano il vizio e la perversione – gli «aghi d’oro» del titolo del romanzo sono gli spilloni su cui i fumatori infilzano le palline d’oppio – e un «popolo» di ladri e lottatrici, borseggiatori e prostitute guidati da Lena Shanks che guida «una gang di sole femmine».

Dall’altro, una sorta di Moral majority ante litteram che, sotto la guida del giudice James Stallworth, un repubblicano in una città largamente democratica, decide di lanciare una campagna, supportata dalle inchieste sensazionalistiche del Tribune, all’epoca tra i principali quotidiani locali, e dalle azioni del «Comitato per la soppressione del vizio urbano», per spazzare via la dissolutezza dalla città.

Ovviamente, tutta l’abilità narrativa di McDowell non risiede soltanto nel ricreare questo vasto affresco storico e sociale, nel quale si muovono decine di personaggi affascinanti e pieni di sfaccettature, ma nel consentire al lettore di svelare la natura intrinsecamente caduca dei confini morali che si vogliono sovrapporre alla mappa della città.

IL VIZIO di cui si fa commercio nei quartieri dei poveri abita anche le bianche magioni edificate a nord di Washington Square e della Quinta Avenue. E ogni nuovo strato successivo non riesce a nascondere fino in fondo il marcio che l’ha preceduto. Forse non a caso l’immobiliarista più famoso della metropoli, cento anni più tardi, si chiamerà Donald Trump.

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