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Fronte del porto, revisited

Fronte del porto, revisitedBayonne (New Jersey), portuali in sciopero a Port Newark, il principale scalo marittimo di New York – foto Ap

Stati Uniti Robot nei docks, salari bloccati: 45mila portuali sono entrati in sciopero, non accadeva dal ’77. Ferme metà delle merci americane. Se continua, tra un mese paese in recessione e prezzi alle stelle

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 2 ottobre 2024

Nella seconda stagione di The Wire, la magnifica serie tv di Hbo ambientata a Baltimora (Maryland), i lavoratori portuali si trovano a fronteggiare una competizione globale sempre più spietata. In una delle puntate il protagonista, Frank Sobotka, sindacalista di origine polacca, partecipa a una presentazione in cui alle aziende logistiche vengono presentati i vantaggi di utilizzare per la movimentazione delle merci il porto di Rotterdam, dove l’automazione nella gestione dei container porterà a significative riduzioni di costi ma anche di posti di lavoro. Se Sobotka prova a resistere al declino del porto di Baltimora in maniera individuale, e inevitabilmente perdente, i portuali statunitensi hanno scelto la via dell’azione collettiva, con maggiori speranze.

ALLA MEZZANOTTE di lunedì, una volta scaduto il loro contratto collettivo, i lavoratori e le lavoratrici organizzati dall’International Longshoremen’s Association (Ila) hanno iniziato uno sciopero che bloccherà i porti sulla costa orientale degli Stati Uniti e nel Golfo del Messico, dal Maine al Texas. È il primo sciopero dei portuali in Usa dal 1977, e coinvolge decine di migliaia di dockworker – almeno 45mila, superando per numeri quello che finora è stato lo sciopero maggiore del 2024, quello all’azienda di aeronautica Boeing, arrivato intanto alla sua terza settimana. Da settimane il sindacato e la U.S. Maritime Alliance (Usmx) – l’associazione datoriale che riunisce gestori di porti e aziende della logistica – sono ai ferri corti per il rinnovo del contratto collettivo. In un ultimo tentativo di evitare lo sciopero, Usmx ha offerto un aumento del 50% sui prossimi cinque anni. Il sindacato, però, chiede aumenti salariali ancora maggiori (almeno il 77%), a fronte di un’inflazione che negli ultimi anni si è mangiata i loro salari. Soprattutto, chiede di inserire clausole esplicite contro la disoccupazione da automazione.

«NOI CREDIAMO che i robot non debbano sostituire il lavoro fatto da un essere umano – ha dichiarato il presidente dell’Ila Harold Dagget – specialmente se storicamente è stato un essere umano a compiere quel lavoro». Nei materiali diffusi sui social media, il sindacato cita l’esempio dei tre grandi produttori di auto statunitensi – Ford, General Motors e Stellantis – che hanno investito pesantemente in automazione, a danno dei lavoratori. I volantini distribuiti ai picchetti notano che «i robot non pagano tasse e non spendono denaro nelle comunità». Alle accuse di causare potenzialmente una nuova ondata inflattiva, Ila risponde citando i profitti esportati all’estero e gli aumenti dei prezzi indipendenti dal costo del lavoro implementati dalle imprese logistiche negli ultimi anni.

L’amministrazione Biden ha mantenuto finora una posizione cauta. A chi chiedeva all’esecutivo di intervenire e bloccare lo sciopero in virtù dei suoi poteri, come aveva già fatto peraltro nel 2022 nel settore ferroviario, l’amministrazione ha risposto dicendo che sta a sindacato e aziende risolvere la disputa. Inviati della Casa Bianca hanno tenuto incontri febbrili con entrambe le parti, finora senza successo.

IN VISTA delle elezioni presidenziali del 5 novembre, i democratici devono assicurarsi il maggior supporto possibile da parte degli iscritti al sindacato. Silenzio, per ora, da parte del campo di Trump, anche se i repubblicani che siedono nella commissione trasporti alla Camera hanno invitato l’amministrazione «a fare tutto quanto in suo potere per assicurare la continuità nel flusso delle merci ed evitare un inutile danno agli americani». Non è da escludersi poi che le salgano le pressioni delle imprese sulla Casa Bianca per bloccare lo sciopero, anche alla luce degli effetti dell’uragano Helene, che ha colpito vari stati del sud causando decine di morti.

OLTRE ai corteggiamenti pre-elettorali del potere politico ai sindacati, dalla loro gli scioperanti hanno il potere strutturale dei lavoratori nella logistica, settore fondamentale nel capitalismo odierno. Il blocco del loro lavoro interessa decine di scali, che gestiscono più della metà del commercio via container negli Usa, beni dal valore di miliardi di dollari. Sean O’Brien, il presidente dei Teamsters, lo storico sindacato della logistica, ha espresso solidarietà ai portuali annunciando che gli iscritti al sindacato non violeranno i picchetti, potenzialmente amplificando gli effetti sulle catene del valore.


La stima dei costi per le aziende supera le centinaia di milioni di dollari al giorno, con possibili effetti a catena su disponibilità e prezzi delle merci. Alcuni analisti hanno previsto una recessione per l’intera economia Usa se lo sciopero dovesse prolungarsi almeno un mese. A soffrire saranno soprattutto i beni deperibili – come la frutta – ma anche quei settori in cui si utilizzano sistemi di produzione “snella”, come l’auto o l’industria farmaceutica, che mantengono poche scorte e sono ora esposti a possibili riduzioni e ritardi di produzione.

Le aziende logistiche proveranno a dirottare una parte dei beni, specie quelli provenienti dall’Asia, sui porti della costa occidentale, dove i portuali sono organizzati da un altro sindacato e non sono in sciopero, ma i danni saranno comunque ingenti. Rimane da vedere come si schiererà l’opinione pubblica, che ha giocato un ruolo importante a favore dei lavoratori dell’auto in sciopero, ma che potrebbe reagire negativamente ad aumenti dei prezzi. Da parte sua il sindacato ha garantito in comunicati ufficiali non solo che il suo sciopero non riguarderà le crociere, ma anche che, nonostante il blocco alle merci, continuerà ad assicurare la regolare logistica degli armamenti, proprio mentre il conflitto in Medio-Oriente peggiora di ora in ora.

UNA POSIZIONE ben diversa dal sindacato dell’auto Uaw, schierato invece per il cessate il fuoco, a dimostrazione che, benché unita da rivendicazioni comuni su salari e condizioni di lavoro, la classe operaia americana rimanga frammentata su altre linee di faglia.

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