«Demolire l’Autorità Palestinese è un altro passo nella marcia della follia di Israele». È il titolo dell’analisi di Alon Pinkas ieri sul quotidiano Haaretz. Analisi con cui è d’accordo il premier palestinese Mohammed Shttayeh che, intervistato dallo stesso giornale, ha descritto come «un altro chiodo nella bara dell’Anp» la decisione presa dal gabinetto di sicurezza israeliano di sequestrare fondi palestinesi, tra cui 139 milioni di shekel (circa 37 milioni di euro) di entrate fiscali che Israele raccoglie per conto dell’Anp.

Il provvedimento giustificato come un modo per «risarcire le vittime (israeliane) del terrorismo», è una risposta al recente successo dell’iniziativa palestinese all’Assemblea generale dell’Onu dove ha raccolto il sostegno per presentare ricorso alla Corte internazionale dell’Aia che sarà chiamata ad esprimere un parere sulla «legalità» dell’occupazione israeliana. «Il popolo palestinese lotta sotto una feroce occupazione» ha spiegato Shttayeh «Abbiamo il diritto di lamentarci e dire al mondo che stiamo soffrendo. Israele vuole impedire anche questo modo non violento di combattere l’occupazione». Il premier ha replicato all’accusa israeliana di «mosse unilaterali» sottolineando che l’occupazione ogni giorno prende decisioni unilaterali: «la costruzione negli insediamenti (coloniali) è unilaterale, tutto è unilaterale. Poi quando noi ci rivolgiamo alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale è proibito e unilaterale?». Shttayeh ha ricordato che Israele «vende di tutto ai palestinesi, compreso il trattamento delle acque reflue, l’elettricità e l’acqua potabile, quindi trae profitto dall’intero meccanismo (dell’occupazione)».

Il crollo finanziario dell’Anp è una possibilità concreta. Ma il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich, che di fatto detiene il controllo del 60% delle entrate palestinesi, ha risposto a chi lancia avvertimenti per le conseguenze delle sanzioni che la cosa non «rientra nei suoi interessi» poiché, a suo avviso, l’Anp sarebbe «sostenitrice del terrorismo». Una posizione ben diversa da quella dei comandi militari e dell’intelligence che sanno quanto i servizi segreti dell’Anp cooperino con quelli israeliani, mettendosi contro l’intera popolazione palestinese che da anni invoca la fine della collaborazione di sicurezza con l’occupazione.

Itamar Ben Gvir è il più attivo dei ministri israeliani impegnati a strangolare l’Anp e a complicare la vita dei palestinesi. Il ministro della Sicurezza nazionale, con poteri speciali di controllo sulla polizia, da quando è nato il governo alla fine di dicembre non lascia passare un giorno senza annunciare nuovi provvedimenti. Senza dimenticare la sua «visita» da ministro una settimana fa sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme che ha suscitato proteste in ogni angolo del mondo. Ben Gvir ha vietato le bandiere palestinesi definendole un «simbolo del terrorismo». E ha ordinato ai poliziotti di rimuoverle mettendo fine alla decisione presa dopo la firma degli accordi di Oslo (1993) quando la bandiera palestinese fu riconosciuta come quella dell’Anp. Quindi ha protestato per i mancati arresti di manifestanti di sinistra che a suo dire, sabato sera a Tel Aviv, avrebbero «violato la legge» durante la marcia dei 10mila contro il governo. La sua compagna di partito, la deputata Limor Son Har-Melech, ieri ha proposto sentenze diverse per gli ebrei che uccidono arabi e per gli arabi che uccidono ebrei: «Un ebreo che uccide un arabo deve stare in prigione fino alla fine della sua vita. Un arabo che uccide un ebreo deve morire».

La marcia a Tel Aviv è stata attaccata anche dal premier Netanyahu perché gruppi di partecipanti hanno paragonato ai leader nazisti il ministro della giustizia Yariv Levin e la sua riforma del settore. Ha inoltre denunciato la presenza di cartelli con la scritta «Palestina libera dal giogo coloniale sionista».