Le prestazioni non sono la cura
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Le prestazioni non sono la cura

Diritti e algoritmi Con un corto circuito logico ancora prima che tecnico i provvedimenti del governo sui tempi di attesa nella sanità stabiliscono un’equivalenza tra diritto alla cura e diritto alle prestazioni

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 4 giugno 2024

Con un corto circuito logico ancora prima che tecnico i provvedimenti del governo sui tempi di attesa nella sanità stabiliscono un’equivalenza tra diritto alla cura e diritto alle prestazioni. E sanciscono in una forma esplicita e radicale che i problemi dell’assistenza sono facilmente traducibili in problemi dell’offerta di prestazioni. Basta organizzare meglio il mercato, si dice, incentivare adeguatamente i produttori, iniettare nel sistema un aggiunta di tecnologie informative e metterle in capo a un’ennesima agenzia ministeriale, perché tutte le criticità vengano risolte.

Avendo sistemato ogni cosa c’è poi anche lo spazio per le sanzioni ai trasgressori. Siamo alla vigilia di un mondo perfetto che valorizza la quantità e l’efficienza, si tratta solo di aspettare che le risorse necessarie a farlo funzionare, che ora non ci sono, si rendano disponibili.

Rispetto alla grandiosità della missione da compiere, val bene la pena di aspettare anche l’approvazione di un disegno di legge che miracolosamente troverà i finanziamenti in una spesa pubblica sempre più ridotta e considerata sempre più improduttiva se non alimenta il profitto dei privati.

In questo approccio si suggerisce in sostanza di gestire i tempi di attesa come fossero una variabile indipendente, svincolata dalle persone che dovrebbero usufruire dei servizi e di quelle che li dovrebbero assicurare. Si abolisce in altri termini la rete di relazioni e di interdipendenze tra le persone e i professionisti dalle quali si genera la cura e si crea al suo posto il SINGLA (Sistema Nazionale di Governo delle Liste di Attesa) che governa la soddisfazione dei cittadini attraverso la PINLA (Piattaforma Nazionale delle Liste di Attesa). L’assistenza ridotta in fondo a una questione di sigle e di informatica, per consentire e controllare l’accesso alla prenotazione di singoli cittadini muniti di prescrizioni a urgenza differenziata.

Attraverso la strenua atomizzazione dell’offerta e la centralizzazione del governo si perde però proprio il potere che si vorrebbe garantire al cittadino. Al contrario lo si anonimizza e lo si trasforma in un semplice richiedente di prestazioni, senza una storia e senza una dimensione sociale. Lo si fa contare quando consuma, anche se in questo caso il suo consumo sono le prestazioni sanitarie, e lo si ignora se non consuma anche se di quelle prestazioni avrebbe bisogno.

Il limite più evidente di questa proposta non è però quello di creare una macchina burocratica imponente con un aumento certo dei costi e nessuna garanzia di benefici. E neppure quello di proiettare comunque qualsiasi soluzione, anche la più discutibile, in un futuro indefinito. Ma è quello di rinunciare a qualsiasi funzione di agenzia, a qualsiasi intermediazione di professionisti sanitari che non si occupino delle prestazioni da prescrivere o da erogare ma delle persone che assistono. Con una consapevolezza piena e integrata dei loro bisogni.

Il problema vero di questa proposta è insomma quello di trascurare completamente assistenza e medicina di prossimità, lasciando i singoli cittadini a confrontarsi spesso da soli con l’offerta di prestazioni sanitarie anche in presenza di un SINGLA e di una PINLA.

Una strada diversa è possibile perché in Italia il problema principale non è rappresentato dalla carenza di prestazioni specialistiche – il cui eccesso è largamente dimostrato da livelli spesso molto elevati di indicazioni deboli alla loro effettuazione e di scarsa appropriatezza – ma dalla mancanza di coordinamento e di presa in carico. Se una paziente con una neoplasia della mammella arriva tardi alla diagnosi e al trattamento, non è perché nel nostro paese si facciano poche mammografie ma perché si distribuiscono senza una logica rigorosa di screening di popolazione o di valutazione selettiva del rischio. Penalizzando le pazienti con minori risorse sociali e culturali.

Ci si può e ci si deve affidare allo sviluppo tecnologico, compreso quello delle tecnologie informatiche, ma nei sistemi di welfare e di protezione sociale l’investimento principale dovrebbe essere sulle persone. Sui cittadini perché sviluppino la loro consapevolezza e sui professionisti perché non si limito a produrre prestazioni ma riescano a prendersi cura delle persone.

Questo non è forse possibile nel mercato. Ma è certamente possibile e doveroso nel sistema sanitario pubblico.

 

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