In un’epoca che si vorrebbe segnata dalla fine delle ideologie, ve n’è una che conferma drammaticamente ogni giorno la sua crescente «presa» a livello internazionale. Certo, deve la sua diffusione soprattutto a interventi online, a testi che circolano sui social, a qualche titolo di narrativa distopica trasformato in «manifesto politico», alle parole pronunciate dai protagonisti di terribili fatti di sangue e, sempre più spesso e incredibilmente, anche da rappresenti politici o istituzionali di questo o quel Paese.

IL TRAGICO ITINERARIO che traccia l’inchiesta che Leonardo Bianchi ha raccolto in Le prime gocce della tempesta, in uscita domani per Solferino (pp. 280, euro 18), descrive i contorni di un fenomeno terribile, quello del terrorismo suprematista bianco e dei suoi protagonisti, finendo però per illuminare un orizzonte se possibile ancora più inquietante e vasto: il nuovo vocabolario dell’odio che alimenta non solo la violenza, compresa quella più efferata, ma anche una deriva sociale, talvolta di massa, in gran parte dell’Occidente.

La minuziosa ricostruzione di stragi e attentati, di vicende eclatanti e sanguinose, non cela infatti come le idee che hanno nutrito le menti di quanti le hanno perpetrate stiano conoscendo una sorta di rapida banalizzazione. Fino a far pensare che quelli che i media etichettano spesso frettolosamente come «lupi solitari», siano in realtà una traduzione, certo degna di un film dell’orrore, di qualcosa che assomiglia ogni giorno di più ad un sinistro «senso comune».

La dettagliata analisi di Bianchi inizia e finisce con la strage compiuta il 22 luglio del 2011 per le strade di Oslo e sull’isola di Utøya da Anders Behring Breivik che causò settantasette vittime e centinaia di feriti.

Lo stesso titolo del libro fa riferimento ad un brano della lettera che il neonazista norvegese intendeva indirizzare dalla sua cella a Beate Zschäpe, condannata per gli omicidi razzisti compiuti in Germania tra il 1997 e il 2011 dal gruppo Clandestinità nazionalsocialista. «Siamo le prime gocce della tempesta purificatrice che sta per abbattersi sull’Europa», scrive Breivik. Una tempesta che in realtà, come illustra Bianchi, si è però scatenata da tempo e non accenna a fermarsi. Il filo dell’indagine si tende così a collegare tra loro fatti lontani, dagli Stati Uniti degli anni Ottanta, passando per l’Europa del decennio successivo, fino alla Nuova Zelanda, per fare ritorno in America, questa volta nell’«era di Trump».

L’evoluzione del fenomeno racconta del passaggio dai gruppi organizzati alla «leaderless resistance», il terrorismo senza leader che prevede come siano proprio «i presupposti ideologici» a spingere all’azione quanti si riconoscono in un orizzonte dominato dalle tesi sulla guerra tra le razze, il «genocidio dei bianchi», la «sostituzione etnica».

NON A CASO, questo percorso nel terrore ha fatto tappa anche in Italia: per il tentativo stragista messo in atto il 3 febbraio 2018 a Macerata da Luca Traini che sparò a sei migranti e a quella compiuta a Firenze il 13 dicembre 2011 da Gianluca Casseri che uccise due immigrati senegalesi e ne ferì gravemente un terzo. In entrambi questi casi i responsabili erano legati o vicini ai gruppi della destra radicale o del nazional-sovranismo istituzionale. In altri, la socializzazione all’odio passa per la rete, i social, gruppi di «discussione» dove la violenza verbale rappresenta solo un annuncio di quanto può seguire nella realtà.

ANCHE SE È DIFFICILE dimenticare in questo contesto ciò che Leonardo Bianchi sottolinea quanto al caso italiano – commentando in particolare le frasi del ministro Francesco Lollobrigida sulla «sostituzione etnica»: «Per l’ennesima volta, un esponente di un partito istituzionale ha pronunciato parole praticamente indistinguibili da quelle contenute nei manifesti degli attentatori di estrema destra». Più che alle prime gocce d’odio, siamo già esposti ad una tempesta perfetta.