«Le Olimpiadi di Berlino si sarebbero dovute tenere solo due anni più tardi e ancora non era stato costruito niente. Invece era stato abbattuto uno stadio costruito di recente e perfettamente utilizzabile per fare fronte a una battaglia di Verdun come l’avrebbe immaginata D. W. Griffith. Scendendo dalla macchina mi aspettavo quasi di vedere le linee francesi, le nostre e, in aria, le esplosioni delle granate». Settembre 1934, l’enorme cantiere polveroso che all’interno dell’ippodromo di Pichelsberg, all’estremità settentrionale del Grunewald, la foresta di Berlino, ha rimpiazzato lo stadio progettato da Otto March nel 1913, fa riemergere in Bernie Gunther i fantasmi delle battaglie cui ha preso parte nel nord della Francia solo vent’anni prima.

L’EX ISPETTORE DELLA OMICIDI, che ha dovuto lasciare il suo incarico a causa delle proprie idee, giudicate dai superiori come «troppo liberali», e che ora si mantiene come responsabile della sicurezza di un noto hotel del centro cittadino, è consapevole del fatto che tutto, intorno a lui, sta cambiando. Anche se ancora non gli è chiaro che gli incubi ricorrenti di cui soffre, dovuti al suo recente passato di sangue nelle trincee della Prima guerra mondiale, possono apparire come un tragico presagio di quanto si va preparando per la Germania come per il resto d’Europa. I nazisti sono al potere da un anno e mezzo e ancora non hanno dato conto fino in fondo di tutta la ferocia di cui sono capaci, l’annuncio delle Olimpiadi del 1936 che Hitler e i vertici del Terzo Reich intendono utilizzare per mostrare al mondo la loro minacciosa potenza, rappresenta perciò una fase decisiva per comprendere quanto sta per accadere.

Così, nelle pagine di Se i morti non risorgono (traduzione di Luca Merlini, pp. 509, euro 20), uno dei romanzi di Philip Kerr ora riproposti nella bella collana Darkside di Fazi, Gunther cercherà di far luce su alcuni omicidi che legano l’ascesa del potere hitleriano alla corruzione che accompagna i lavori straordinari di ristrutturazione urbana in vista dei Giochi olimpici che avranno luogo nella capitale tedesca. Accanto al detective, la giornalista ebrea americana Noreen Charalambides, sostenitrice del boicottaggio dell’evento per le politiche razziste adottate dalle autorità, mentre il rappresentante del comitato olimpico statunitense rassicura Washington quanto alle intenzioni dei nazisti, che indaga su quanto i Giochi sono destinati a lasciare nell’ombra, a cominciare dall’espulsione degli atleti ebrei da tutte le società sportive del Paese.

PER PHILIP KERR, l’autore scozzese scomparso nel 2018, che grazie al suo «Marlowe berlinese e antinazista» si è conquistato un posto di rilievo nell’ambito del noir, in particolare di quello dal respiro storico, non si trattava della prima volta: già il debutto della serie che ruota intorno alla figura di Bernie Gunther – inizialmente una «trilogia berlinese», ma che ha poi superato la decina di titoli -, affrontava quel momento cruciale della Storia tedesca del Novecento.

In Violette di marzo, uscito nel 1989 per la prima volta e riproposto da Fazi nel 2020, a fare da sfondo al brutale assassinio di una coppia di coniugi, legati alle nuove leve del potere hitleriano, dove odio, denaro e brutalità sono sinonimi di carriere di successo, sono proprio le Olimpiadi del 1936 e la città resa irriconoscibile dalla grandeur architettonica che ne ha mutato per sempre il volto: lo scenario che secondo gli ideologi nazisti avrebbe dovuto accompagnare il trionfo della stirpe ariana e che vide invece affermarsi lo straordinario talento dell’atleta afroamericano Jesse Owens. Anche in quel caso, come in Se i morti non risorgono, il retroterra umano e culturale della capitale del Reich che secondo i disegni di Hitler sarebbe dovuta divenire Welthauptstadt (mondiale) e resistere per millenni alla sorte, era altrettanto sordido quanto selvaggio.

MALGRADO AI GIOCHI manchino ancora due anni, in quest’ultimo romanzo Gunther assisterà così dapprima all’uccisione di un pugile ebreo, quindi alla sottrazione del titolo ad un atleta rom che aveva sconfitto un nazista e infine alla piena nazificazione di ogni disciplina sportiva. L’odio domina la scena e, a ben guardare, ogni traccia del vero o presunto spirito olimpico è scomparsa.