Le Filippine recedono dall’accordo militare con gli Usa
Asia Duterte schiaffeggia Trump: il Vfa riconosceva alle truppe americane uno status speciale nel paese asiatico. Washington: «Ripercussioni». Dietro il dissidio sta l’influenza cinese su Manila
Asia Duterte schiaffeggia Trump: il Vfa riconosceva alle truppe americane uno status speciale nel paese asiatico. Washington: «Ripercussioni». Dietro il dissidio sta l’influenza cinese su Manila
Con una mossa largamente annunciata e da ieri ufficiale, il ministero degli Esteri di Manila – su mandato del presidente Duterte – ha formalmente inviato l’avviso di chiusura dell’accordo Vfa (Visiting Forces Agreement) al governo degli Stati uniti.
Il Vfa è l’accordo bilaterale che riconosce un determinato status legale alle truppe statunitensi presenti nel paese per esercitazioni militari e operazioni di assistenza umanitaria. Anche se l’accordo era in scadenza (agosto 2020) e anche se non riguarda il rapporto nel suo complesso della collaborazione militare tra Filippine e Stati uniti, è ovviamente uno schiaffo all’amministrazione Trump che ha infatti reagito immediatamente: l’ambasciata americana a Manila – scrive la Cnn – ha confermato di aver ricevuto dal Dipartimento degli Affari esteri filippino l’avviso di chiusura del Vfa, definendo il gesto un «passo serio con implicazioni significative per l’alleanza Usa-Filippine».
Il patto – che è stato applicato in almeno due casi famosi di stupro e omicidio che hanno coinvolto soldati americani – durava da vent’anni. La cancellazione è una ritorsione annunciata da Duterte dopo che gli Stati uniti hanno negato il visto d’ingresso in America al senatore Ronald “Bato” Dela Rosa, uomo di fiducia del presidente e alla guida della sanguinosa guerra a trafficanti, spacciatori e tossicodipendenti condotta da Manila su impulso della presidenza. Il generale Bato è stato a capo della polizia nazionale dal luglio del 2016 all’aprile del 2018.
La guerra tra Manila e Washington va anche vista nell’ottica dell’enorme influenza che Pechino ha sul governo filippino e su un dissidio che nel tempo si è consumato con Washington proprio per via dei rapporti tra le Filippine e la Rpc. Questo è infatti il secondo schiaffo di Duterte a Trump di cui ha rifiutato l’invito a partecipare in marzo a una riunione dell’Asean a Las Vegas.
Per Trump è l’occasione per rilanciare la politica americana in Asia; per Duterte, la prova di una pressione indebita. È solo, però: gli altri leader dell’Associazione del Sudest asiatico ci andranno proprio perché ci vedono l’occasione di equilibrare i giochi in Asia tra Usa e Rpc.
Molto simile a Trump nel suo decisionismo eclatante e nelle personalissime decisioni prese bypassando il parlamento, Duterte condivide con The Donald anche un odio viscerale per i media che gli remano contro. Ieri l’avvocato di Stato ha deposto una richiesta in tribunale perché venga valutata la posizione dell’emittente nazionale Abs-Cbn che avrebbe violato i termini della sua licenza. In realtà la concessione per la tv filippina, proprietà di una importante famiglia locale, non è ancora scaduta e ci sono in parlamento già una dozzina di richieste di rinnovo anche se per ora nessuna è stata calendarizzata.
Con la sua mossa, Duterte vuole fare pressione sui deputati. Secondo il portavoce della Camera Johnny Pimentel – citato dal filippino Inquirer – alcuni parlamentari potrebbero infatti aver paura di esprimersi in favore del rinnovo.
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