Italia

Le ferite dello stagno dei fenicotteri, bruciato il canneto di Molentargius

Lo stagno di stagno di Molentargius foto AnsaLo stagno di stagno di Molentargius – foto Ansa

Sardegna Il parco già minacciato da speculazione e incuria. La minaccia del mattone su una delle zone umide più importanti del Mediterraneo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 agosto 2023

Nel grande braciere in cui s’è trasformata la Sardegna, è andato a fuoco anche il canneto che a Quartu cinge lo specchio d’acqua di Molentargius, lo stagno dei fenicotteri, sul lato di via Fiume, vicino alle case. L’intervento tempestivo del Corpo forestale ha impedito che il rogo arrivasse alle abitazioni e causasse danni più gravi. Per lo stagno, un’altra ferita dopo le tante causate negli anni dalla speculazione edilizia e dall’incuria.

Molentargius è ciò che rimane di un sistema di lagune che si è formato nella pianura del Campidano 75.000 anni fa. In passato, quando d’estate il sole asciugava le acque, emergeva una salina naturale, una delle ricchezze del Golfo degli Angeli sin dai tempi più remoti, sin dai primi insediamenti fenici. Dal 1999 Molentargius è un parco naturale regionale che si estende su una superficie di 1.600 ettari, a ridosso dei comuni di Cagliari, di Quartu e di Selargius. Se si sale sulla cima di Monte Urpinu oppure sulla Sella del Diavolo, i due giganti di pietra che a Nord e a Sud cingono Cagliari, la bellezza di questo luogo, in cui storia e natura da sempre si incontrano, appare in tutto il suo splendore. La vista abbraccia, in un colpo solo, due grandi bacini verdi e celesti separati da una sottile striscia di sabbia, l’arenile bianco del Poetto e il mare, con la costa africana a 580 chilometri, l’approdo più vicino alla Sardegna se si esclude la Corsica.

A Molentargius nidificano i fenicotteri, sa zenti arrubia (la gente rossa) come si chiamano in sardo. Sono arrivati per la prima volta nel 1993. Da allora sono lì, a due passi da Quartu e da Cagliari, guardiani dell’unicità di un luogo per il quale la vicinanza delle due città è una minaccia perenne. In tutto il mondo, le agenzie turistiche vendono i fenicotteri di Molentargius come una delle principali attrattive turistiche dell’isola. Davanti al mirino delle fotocamere degli smartphone restano immobili. O si muovono lenti per cercare cibo tra il fango dello stagno. Docili al rito attraverso il quale, nel megastore del turismo di massa, si consumano emozioni. È quando maestosi si alzano in volo che capisci quanto sia grande, invece, la distanza che li separa dal mondo che ha prodotto il muro di cemento che stringe lo stagno e che di queste straordinarie creature ha fatto un richiamo per vacanzieri.

Il movimento delle ali della gente rossa disegna un altro ordine simbolico. Altro, certamente, rispetto al tentativo che la giunta Solinas ha fatto, già nel primo anno di legislatura, nel 2019, di inserire Molentargius in una legge urbanistica regionale, poi cassata dalla Corte Costituzionale, che rendeva possibile edificare in alcune aree del parco. Altro, anche, rispetto all’incuria e alla mancanza di prevenzione che causano disastri come quello dell’incendio di domenica. O come quello, ancora più grave, del rogo che, nel giugno dello scorso anno, ha ridotto in cenere cinque ettari a Medau su Cramu, nella fascia agricola (piena di abusi edilizi) compresa all’interno della zona protetta.«L’abusivismo edilizio – dice Stefano Deliperi, portavoce dell’associazione ecologista Gruppo di intervento giuridico – è il più grave ostacolo alla predisposizione del piano del parco, che ancora non c’è. Non bastano le centinaia di milioni investiti negli anni per il disinquinamento di una delle zone umide più importanti del Mediterraneo. Il mattone abusivo frena qualsiasi prospettiva».

Anche il sindaco di Quartu, Graziano Milia (Pd), fa sentire la propria voce: «Non è pensabile che il parco, nato alla fine degli anni Novanta, continui a vivere senza personale e strumenti per controllare il territorio». «Basti pensare – continua Milia – che per quanto riguarda la prevenzione opera un piccolissimo distaccamento della Forestale che deve occuparsi anche di altre zone. Non è una struttura nelle condizioni di impedire che accadano cose come l’incendio di domenica. Ogni dieci anni il canneto va a fuoco due o tre volte. Abbiamo costituito un parco e abbiamo il dovere di dotarlo di tutti gli strumenti necessari per la gestione. Su questo faremo una riflessione, ponendoci il problema di che cosa ci stia a fare un parco naturale regionale senza avere poteri, strumenti e strutture».

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