Le divisioni della sinistra combattono con gli avversari
Dove sta in Italia la differenza tra destra e sinistra? Nella sinistra, o centrosinistra, italico la parte senza riserve pro-mercato è divenuta da tempo preminente. Da ultimo vi si è […]
Dove sta in Italia la differenza tra destra e sinistra? Nella sinistra, o centrosinistra, italico la parte senza riserve pro-mercato è divenuta da tempo preminente. Da ultimo vi si è […]
Dove sta in Italia la differenza tra destra e sinistra? Nella sinistra, o centrosinistra, italico la parte senza riserve pro-mercato è divenuta da tempo preminente. Da ultimo vi si è sviluppata pure una vocazione se non proprio razzista, comunque ostile agli immigrati. La differenza non sta nemmeno nella moralità: non c’è bisogno di illustrarlo. Sta, non giriamoci attorno, nella stupidità: in una micidiale stupidità autodistruttiva.
Non risale a oggi, è antica. La stupidità ha segnato la storia della sinistra (o del centrosinistra) nell’ultimo quarto di secolo. La destra è almeno un po’ furba. È divisa, ci sono globalisti e sovranisti, razzisti espliciti e più tolleranti, nazionalisti e localisti. Ma, quando occorre, sono furbi abbastanza da ritrovarsi. Nel centrosinistra il gusto per la divisione è tale che preferisce far vincere l’avversario anziché ritrovarsi quanto basta per essere competitivi.
A suo tempo le divisioni del centrosinistra affossarono Prodi. Dopo un aperitivo al bar, Veltroni e Bertinotti nel 2008 decisero di dividersi e riconsegnarono il governo a Berlusconi. Le divisioni prodotte dal renzismo hanno in questi anni consegnato alla destra (o ai grillini) Torino, Genova, Venezia, l’Aquila, La Spezia, la Liguria, Roma e molti altri posti. Prima che l’anno si concluda gli dei della divisione otterranno il pingue sacrificio della Sicilia.
Non che ci sia da rimpiangere Crocetta, parto fortuito e mostruoso del declino (provvisorio) di Berlusconi, che ha governato in maniera dilettantesca e sgangherata. Se tuttavia il centrosinistra aveva qualche modesta possibilità di farcela alle prossime elezioni, se l’è giocata prima di cominciare. Non disponendo di uno straccio di disegno di governo, ci si è convinti che la composita coalizione che ha permesso a Orlando di essere confermato sindaco di Palermo avrebbe funzionato anche a livello regionale.
Chi abbia una benché minima dimestichezza con le questioni siciliane sa bene invece che Orlando dispone a Palermo di un’area di consenso personale, non trasferibile né ad altri candidati, né ad altri livelli elettorali. Così oggi il centrosinistra si appresta a gareggiare con due candidati, l’un contro l’altro armato e ambedue senza speranza. I sondaggi danno il centrodestra col vento in poppa. Nella miglior tradizione dei generali italiani, Renzi se ne è già lavato le mani. Barattato Bersani con Alfano e le sue clientele, ha scaricato sui siciliani la scelta di un candidato «civico».
Puro frutto dello spirito di divisione che alberga a sinistra è anche il successo del grillismo. Di Maio e Di Battista sono gente geneticamente di destra: una reincarnazione del qualunquismo di Giannini. Ma il grosso dell’elettorato grillino, lo dimostrano le ricerche del Cattaneo, proviene da sinistra. Se non che, se lo sbandamento provocato dal declino di Berlusconi dopo il 2011, aveva alle europee regalato a Renzi il famoso 40 per cento e aveva convogliato verso Grillo un po’ di elettori di destra, oggi che le mene renziane hanno resuscitato Berlusconi, gli elettori di destra se ne tornano a casa e quelli che da sinistra erano approdati tra i 5 Stelle forse si asterranno. Comunque sia, il centrodestra ringrazia: dopo avere portato l’Italia al disastro alla fine del 2011, è pronto a ripigliarne le redini.
La stragrande maggioranza degli elettori, spiega la sociologia elettorale, hanno memoria corta. Ed è difficile che si riconvertano stabilmente da destra a sinistra e viceversa. L’economia ha intanto preso fiato: invero molto poco. Qualche riforma gradita agli imprenditori, che magari il centrosinistra avrebbe avversato fosse stato all’opposizione, l’ha fatta il governo Renzi. Il centrosinistra ha pure concorso a amplificare l’emergenza immigrazione. Il problema c’è e va governato con una strategia di accoglienza e integrazione appropriata, che rassicuri quanti ne sono intimoriti. La strategia di Minniti è consistita nel concludere oscuri patti coi libici, e ha pure confermato l’idea della destra secondo cui non si si può essere troppo accoglienti.
Tocca rassegnarsi. Il problema del paese non è l’immigrazione. Fanno problema, drammatico, il declino del sistema industriale, la condizione del Mezzogiorno, la devastazione delle amministrazioni pubbliche, della scuola, dell’università, della ricerca, i giovani che fuggono all’estero, lo sfascio del territorio, i boschi che bruciano, la ricostruzione post-terremoto.
Ci sarebbe materia per uscire dalle sterili discussioni di schieramento, attirare su questi temi l’attenzione degli elettori e concentrarsi sui programmi. Di cui però nessuno parla, neanche sotto tortura. Questi sono problemi degli italiani, non di chi li rappresenta e li governa. Tantomeno del centrosinistra.
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