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Le città si ribellano a Erdogan, l’Akp perde Ankara e Istanbul

Le città si ribellano a Erdogan, l’Akp perde Ankara e IstanbulSostenitori del Chp festeggiano a Istanbul per il vantaggio del loro candidato a sindaco, Ekrem Imamoglu – Afp

Turchia Elezioni amministrative, il partito di governo annuncia ricorsi. Prima sconfitta elettorale in 17 anni: il Chp vince grazie all'appoggio dell'Hdp. Ma il presidente mantiene il controllo delle istituzioni e dell'esercito

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 2 aprile 2019

Prima vera sconfitta elettorale in 17 anni per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il cui partito Akp perde in un colpo la capitale Ankara, la metropoli Istanbul e molte altre città nel paese. Un colpo duro perché il controllo delle amministrazioni è storicamente il cuore del successo dell’islam politico, fatto di attivismo dal basso, welfare acchiappa-voti e distribuzione di lucrativi appalti.

Per le opposizioni una vittoria che lancia un segnale politico fortissimo, ma anche assai fragile: poche decine di migliaia di voti di margine e l’Akp che già annuncia ricorsi.

La nottata di conteggi ha fatto vivere momenti di tensione altissima, dopo che quattro persone hanno perso la vita nel corso della giornata e altre 67 sono rimaste ferite. A tenere banco c’è subito il successo del candidato repubblicano Mansur Yavas nella capitale Ankara, cuore politico e militare del paese, la cui perdita era stata messa in conto dalla presidenza Erdogan.

Il colpo inatteso è Istanbul. La metropoli sul Bosforo sembra destinata a restare nelle mani dell’Akp, che ha candidato l’ex primo ministro Binali Yildirim. Ma con lo scorrere delle ore, il margine di vantaggio si assottiglia. A soli 4mila voti dal sorpasso e con il 98% delle schede scrutinate, ecco il blackout. Yildirim spiazza tutti e dichiara la propria vittoria mentre ancora si sta contando.

Lo Ysk, autorità che regola le elezioni, oscura il proprio sito internet. L’agenzia stampa Anadolu, contestatissima, cessa di divulgare dati in tempo reale. Per dieci lunghe ore tutto è congelato, nessuno vuole assumersi la responsabilità di certificare la disfatta, il sistema va in panico perché il piano non è quello atteso e nessuno osa improvvisare. Si attende un segnale, si attende Erdogan.

L’opposizione reagisce subito duramente, memore di quanto accaduto nel 2015, quando l’Akp strappò la vittoria ad Ankara con il candidato Melih Gokçek, dichiarato vittorioso dopo una notte di interventi governativi nel processo di conteggio dei voti.

Il candidato Chp di Istanbul, Ekrem Imamoglu, si appella al senso dello Stato: «Sappiamo che ho vinto, i dati raccolti confermano un margine di circa 25mila voti di vantaggio, ma non sono io a dover dare quest’annuncio». Chiede che le istituzioni si assumano le proprie responsabilità con i cittadini ed è questa sua insistenza a impedire una vittoria Akp certificata a mezzo stampa.

Quando finalmente Erdogan si affaccia al balcone ad Ankara per il discorso, celebra la vittoria complessiva della sua coalizione al 52%, ma tace sulle città cardine e precisa che il «nostro messaggio non è passato», frase sibillina a metà tra un’autocritica a cui non siamo abituati e una minaccia a cui lo siamo fin troppo.

Soltanto la mattina di lunedì Ysk e Anadolu riprendono lo scrutinio e annunciano il sorpasso a Istanbul dell’opposizione: +24.408 voti a favore dei repubblicani. L’Akp nel frattempo promette ricorsi: contesta 310mila schede a Istanbul, 80mila ad Ankara. Erdogan lascia trasparire di aspettarsi una svolta a proprio favore nelle città appena perdute. Lo Ysk, che dopo l’ultima riforma costituzionale è saldamente nelle mani del governo, dovrà decidere nei prossimi tre giorni.

L’Hdp ha avuto un ruolo fondamentale nelle vittorie dell’opposizione. Il suo ritiro dalle regioni occidentali e l’appello di Selahattin Demirtas dal carcere hanno consentito il coagularsi dei voti antigovernativi verso candidati unici del partito repubblicano. Un debito politico che si spera potrà essere restituito all’interno dei consigli municipali e con una nuova stagione di collaborazione.

Nel sudest, l’Hdp ha ripreso tutte le amministrazioni commissariate dal governo, ma la minaccia di nuove destituzioni è più concreta che mai. Le uniche vittorie delle urne per l’Akp riguardano i distretti di Agri, Bitlis e Sirnak, dove ingegneria sociale, modifiche ai confini elettorali e la presenza dei militari hanno permesso di superare l’Hdp.

La delegazione del Consiglio d’Europa inviata a monitorare ha dichiarato di «non essere convinta che la Turchia presenti un contesto libero ed equo necessario a elezioni democratiche».

Non si può scambiare un successo elettorale amministrativo per l’inizio di una nuova stagione democratica. Erdogan mantiene il saldo controllo di tutte le istituzioni statali e dell’esercito e già in precedenza reagì molto male alle battute d’arresto uscite dalle urne.

È tuttavia un momento di respiro, in cui la gente ha espresso scontento verso il piglio autoritario che ha vessato le opposizioni, ma soprattutto verso quel declino economico che al momento l’Akp non sembra riuscire a frenare e che Erdogan ha senza dubbio pagato. Si trova davanti a un bivio: provare a strappare le preziose città attraverso i ricorsi o accettare la sconfitta per delegittimare le accuse di autoritarismo.

I nuovi sindaci, invece, ottengono una preziosa occasione per proporre un nuovo modello agli elettori, tra cui moltissimi giovani che mai hanno visto altro se non l’Akp. Ereditano tuttavia anche la difficoltà di gestire le grandi città in un momento di grande crisi economica e l’ostilità di un governo centrale con una storia nota nel prosciugare risorse alle amministrazioni nemiche.

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