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Le botte ai medici e l’action movie del governo

L interno dell'ospedale Lotti di Pontedera nel 2011L'interno dell'ospedale Lotti di Pontedera nel 2011, foto Ansa

Sanità «La consiglierei a chiunque ami la medicina e l’adrenalina». Una giovane dottoressa parla così della scuola di specializzazione nello spot con cui il ministero della salute spera di convincere i nuovi medici a dedicarsi al pronto soccorso

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 11 settembre 2024

«La consiglierei a chiunque ami la medicina e l’adrenalina». La giovane dottoressa Stefania parla così della scuola di specializzazione in medicina di emergenza e urgenza nello spot con cui il ministero della salute spera di convincere i nuovi medici a dedicarsi al pronto soccorso.

Curiosa scelta di marketing: da settimane ospedali e ambulanze si sono trasformati in ring di pugilato e forse di adrenalina in giro ce n’è pure troppa. Sarebbe stato più efficace un messaggio rassicurante, che metta in evidenza i vantaggi del lavoro in pronto soccorso. Il problema è che non ce ne sono: il governo si è limitato a aumentare a 200 euro al mese l’indennità per rendere attrattiva la specialità. Ma è meno di quanto incassa in mezz’ora un cardiologo nel suo studio privato e infatti la campagna non menziona nemmeno il benefit-elemosina. Non rimane che l’adrenalina, come se non stessimo parlando di ospedali ma di circensi.

Secondo Antonio De Palma, presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up, da agosto in 31 giorni si sono verificate 34 aggressioni contro il personale sanitario. Ieri è toccato a uno specialista preso a calci all’ospedale di Lecce. Non stupisce che da anni i concorsi per assumere nuovi «urgentisti» vadano deserti. O che il 70% delle borse di studio per specializzarsi in pronto soccorso rimanga senza candidati, mentre quelle per la chirurgia estetica e la dermatologia vanno a ruba. Limitarsi ad aumentare il numero complessivo delle borse di studio diventa persino controproducente perché moltiplica la possibilità di perfezionarsi nelle aree più remunerative e al pronto soccorso non ci si va nemmeno per ripiego. Nel 2023 a Foggia, l’epicentro dell’ultima ondata di violenza sui sanitari, non è stata assegnata nemmeno una delle sei borse di studio da 1700 euro al mese disponibili per diventare medico urgentista e forse non è un caso.
Pensare che la crisi di vocazioni si risolva con la retorica dell’adrenalina è pura illusione da action movie. Ancora peggio, la rievocazione degli eroi o dei missionari in camice bianco. Anche perché ormai è chiaro che quando la politica accosta l’«eroismo» a una professione, la fregatura è dietro l’angolo. Non si fa solo con medici e gli infermieri: accade con gli insegnanti, le guardie penitenziarie e tutte le altre categorie del servizio pubblico che da anni attendono invano una riqualificazione del loro lavoro. Guarda caso, sono anche le categorie che passano più rapidamente dallo status di eroi a quello di facile bersaglio del rancore quotidiano.

Di fronte ai portoni (antipanico) di un pronto soccorso, non chiedono rassicurazioni solo i medici ma anche i pazienti, che dell’adrenalina farebbero davvero a meno. Nonostante ciò che si pensa al ministero della salute, medici, infermieri e assistiti sono decisamente più attratti da reparti ordinati e silenziosi, al limite un po’ noiosi, in cui non si viene accolti da una guardia giurata – e ora si invoca l’esercito – da un medico «gettonista» o da un infermiere che raddoppia il turno per carenza di organico. Per arrivarci però servono investimenti e incentivi veri nella sanità pubblica che decongestionino gli ospedali dalle patologie croniche e dal disagio sociale che andrebbero prevenuti e affrontati altrove. Invece il governo ha preferito rimandare la realizzazione delle già scarse case di comunità e puntare sulla sanità privata per colmare i buchi di quella pubblica. E se rimangono due spicci, si può sempre girare uno spot.

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