Nell’immaginario spagnolo contemporaneo la campagna è spesso il luogo del rimosso e della violenza. Il finale di Madres paralelas di Pedro Almodovar, ambientato nella Valle di Jarama, porta in primo piano l’attività degli antropologhi forensi che scavano alla ricerca delle vittime della Guerra Civile, di cui si sono perse le tracce. Nel notevole e pluripremiato As bestas di Rodrigo Sorogoyen letale è lo scontro tra due fratelli contadini, che sperano in un miglioramento del loro tenore di vita grazie alla installazione di pale eoliche.

Layla Martínez, madrilena, saggista (è del 2019 il suo Utopia no es una isla, dedicato a progetti che si sono infranti contro la realtà), animatrice della casa editrice indipendente Antipersona, si allinea a questa visione con il suo romanzo di esordio Il tarlo (vivace traduzione di Gina Maneri, La Nuova Frontiera, pp. 140, € 16,50). Vi si racconta di una dimora e di donne, prigioniere e signore della casa, oppresse da una società maschile, che usano i mezzi della magia per scatenare la rivolta.

L’autrice rende subito manifesti i suoi modelli: dalla maestra del gotico Shirley Jackson a Alejandra Pizarnik, con qualche eco dello stregonesco Aura di Carlos Fuentes; e, soprattutto, Martínez guarda a Leonora Carrington, che ha interpretato in una performance in cui indossava un costume e un makeup surrealisti, dotandosi di molteplici occhi. Non poche sono anche le consonanze con il mondo degli orrori quotidiani disegnato dalla argentina Mariana Enriquez. Fin dalle prime pagine è di scena il duello tra una casa invasa da pesanti memorie e le donne che la abitano, obbligate a una serie di rituali finalizzati a poter vivere in quello spazio denso «come olio» di dolore e rabbia.

«La casa mi è saltata addosso – si legge nell’incipit. Succede sempre con questo cumulo di mattoni e sporcizia, piomba su chiunque attraversi la porta e gli strizza le budella fino a togliergli il fiato». Le ombre dominano questa magione satura di pesanti tradizioni: attraggono le bambine sotto il letto, poi le graffiano e le fanno riemergere dopo la lotta, inconsapevoli di quanto è successo. Solo alle donne – che sono in continua relazione con le sante, mediatrici delle loro richieste al divino – è riservata la possibilità di negoziare l’esistenza all’interno di questa macchina per il rancore e per il lutto. Gli uomini, per quanto robusti e affettuosi, fatalmente si ammalano di malattie misteriose, che pian piano li spengono.

Notevole l’episodio di un uomo che, per sfuggire l’arruolamento nella guerra civile, si fa nascondere dietro un tramezzo, dove vive un’esistenza da recluso, che lo farà impazzire. La moglie, oppressa dal consorte che la picchia, la umilia e l’ha ingannata, non rivelandole che la sua ricchezza deriva dallo sfruttamento della prostituzione, trova l’occasione per farlo sparire.
Filo rosso del romanzo è la rivolta: tutte le donne, che vivono intonando preghiere e eseguendo fatture, hanno ben chiaro che la radice del loro malessere è sociale. Sono tiranneggiate dalla ricca famiglia Jarabo, che tuttavia, pur credendosi onnipotente, cade vittima dei rituali praticati nella dimora; non resta che sognare una magica revanche.