L’Avana déco, le «mie» case su carta lucida
Quando venni via da Cuba avevo vent’anni e non sapevo niente dell’Art déco. Mi fermai per una settimana a New York, per rivedere i miei luoghi favoriti, la Frick Collection e il Metropolitan Museum, collezioni nelle quali l’Art déco non era di casa (a meno che non ci fosse qualche bagno in quello stile).
In realtà credo che a nessuno storico dell’arte (io lo ero solo con l’immaginazione) allora interessasse quel gusto piuttosto curioso che cominciava a non essere più «moderno»: lo zenit geometrico e composto di linee dritte dell’Art déco arriva dopo la fine della prima guerra mondiale, a metà degli anni venti che segnarono la morte delle linee curve e di quel che prima si definì Art nouveau.
Quanto mi accadde deve essere accaduto anche all’autrice del volume di cui oggi parleremo, L’Avana déco Arte cultura società di Alessandra Anselmi (Gangemi editore, pp. 448, euro 80,00). L’autrice infatti è nota come studiosa specializzata nei rapporti fra l’Italia e la Spagna nel Seicento, soprattutto all’epoca dei Barberini, ed è docente all’Università della Calabria, ma negli ultimi anni si è interessata in modo quasi ossessivo, ma per me lusinghiero, della città in cui vissi l’inizio della mia gioventù.
Aprire questo suo libro è stato per me come entrare in un incantesimo popolato da infinite immagini di luoghi, di oggetti un po’ evanescenti – ricordi di vita vissuta e non di opere d’arte, ma che, a guardarli oggi riprodotti sulla carta lucida, riprendono vita e così capisco meglio molti di essi, già parte del panorama della mia quotidianità. Infatti la maggior parte di quelle case, di quei giardini, si trova ancora nei quartieri in cui vivevo, Miramar prima e El Vedado poi, fino al 1957.
Allora erano edifici noti come residenze di personaggi famosi per diverse ragioni, soprattutto per la ricchezza. Faccio un esempio: una casa che vedevo spesso apparteneva a Maria Luisa Gómez Mena, forse la donna più ricca dell’isola; la villa, un palacete di gusto francese, si trovava nel Vedado, a due passi da un edificio di appartamenti di un tipo comune in quel quartiere dove viveva mio zio. La Gómez Mena era famosa per aver speso, alla fine degli anni quaranta, più di cinquantamila dollari – una cifra allora colossale – per ricevere Leopoldo del Belgio e la moglie Liliane de Rethy.
La casa della condesa Revilla Camargo (titolo che Maria Luisa ebbe da Alfonso XIII) venne costruita dagli architetti francesi Viard e Dastugue ed è oggi sede del Museo de Artes Decorativas. In quella dimora, architettonicamente di gusto più Luigi XVI che déco, gli stessi architetti disegnarono un bagno che ben si adegua invece allo stile di cui parliamo. La casa d’altra parte era arredata con mobili e oggetti francesi di ottima qualità e di altissimo prezzo, acquistati da antiquari a Parigi, come il famoso Jacques Kugel che mi raccontò di aver dovuto sottostare all’approvazione non solo della contessa ma soprattutto della cameriera.
Non meno famosa fu la casa di Pedro Baró e Catalina Lasa, sita nell’Avenida Paseo del Vedado. Ambedue i protagonisti erano sposati quando si conobbero e facevano parte di famiglie note, estremamente facoltose. Grazie ad una legge del 1918 ottennero entrambi il divorzio e convolarono a nozze, non senza scandalo di cui era ancora memoria ai miei tempi. La loro casa fu terminata nel 1927 in un gusto che non si può definire completamente Art déco: si tenga presente che anche in Europa l’apice di quello stile risale al 1925. È considerata comunque una delle case più lussuose dell’Avana e gli interni ancora in buono stato sono aggiornati soprattutto nei particolari ornamentali. Alcuni dei lavori in ferro forgiato o in metalli dorati e marmo sono esemplari per il déco al suo massimo splendore. La sala da bagno, spazio favorito all’epoca, risulta fra le più belle a me note e non solo all’Avana. Forse ancor meglio riuscita fu la dimora eterna progettata per quei coniugi nel cimitero di Colón, in marmo bianco, granito nero, e con all’interno vetri di vari colori, risalente al 1931, alla morte prematura di Catalina. Si tratta di un’opera francese, del celebre René Lalique.
Una delle case che meglio ricordo dell’Avana è quella di Flora Muñiz de Argüelles, all’incrocio fra la Quinta Avenida de Miramar e la Calle 22, che risale al 1927. Per un paio d’anni abitai non troppo distante da quella casa, dopo essermi trasferito con la mia famiglia a L’Avana.
Dell’edificio di Flora Muñiz si conservano le fotografie di alcuni disegni dell’architetto José A. Mendigutía. La stanza da letto aveva mobili che ricordano modelli francesi coevi, la porta d’ingresso è sormontata da un bassorilievo allegorico di uno scultore cubano educato in Europa, J. J. Sicre. Aggiungo che Mendigutía fu uno degli architetti più amati nell’isola all’epoca, fino a diventare per chiara fama ministro nel 1941.
Non meno riuscita la casa di Manuel López Chávez, eseguita da un altro architetto famoso da noi, Esteban Rodríguez Castells, che fu anche al lavoro per una delle più famose costruzioni de L’Avana, l’Edificio Bacardí, risalente al 1930 e una delle più famose costruzioni dell’America del sud, non indifferente a molte novità americane. La casa di López Chávez è vicino a Miramar, nel Reparto Kohly, e data al 1932. Qui si presta particolare attenzione alle rifiniture e agli infissi di vetri policromi seguendo, mutatis mutandis, una vecchia affezione della Cuba coloniale per finestre con vetri di vari colori contrastanti. Questa inclinazione per la policromia si ritrova anche nei pavimenti di questa casa con motivi geometrici e fitomorfi; non meno estroso il bellissimo giardino con pavimentazioni in pietre multicolori.
Anche dimore più piccole e meno costose possono avere un certo fascino: ricordo la casa di Maria Biosca vedova Tamargo nella Calle Linea, accanto a Paseo, nel Vedado, eretta nel 1928 da Maruri y Weiss «de lineas enteramente modernas», come si scrisse allora precisando che semplicità e funzionalità sono ideali architettonici «de la epoca actual». Anche se di dimensioni modeste, di una sagoma che ricorda più modelli viennesi che parigini, quel che resta dell’edificio è di non comune eleganza seppur riflessa in un gusto poco cubano nonostante gli ornamenti in stucco fossero tutti ispirati alla flora dei tropici.
Devo confessare che la mia Cuba poco aveva a che fare con quelle dimore «moderne» dell’Avana: io pensavo piuttosto alle vecchie grandi case ottocentesche di Santiago con patios dove si udiva il rumore dell’acqua delle fontane accanto alle piante di guava, alle aiuole di tuberose e ai gelsomini profumati. Ricordo ancora la descrizione della villa bellissima di Lidia Cabrera fatta dalla filosofa e scrittrice Maria Zambrano: all’arrivo della nuova dittatura, verso il 1959, Lidia lasciò per sempre Cuba e subito dopo la sua dimora fu rasa al suolo.
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