Il ministro Calderoli ha reso in I commissione della camera un’ampia audizione sugli indirizzi e obiettivi del suo ministero. Il tema principale è stato – tra molti – l’autonomia differenziata. Il ministro ha sostanzialmente confermato le iniziative assunte, dalla «legge di attuazione» dell’art. 116.3 della Costituzione all’art. 143 della legge di bilancio. Tra l’altro con una tempistica che nega qualsiasi connessione tra l’autonomia e il presidenzialismo caro a Meloni. Calderoli lo apprezza, ma chiaramente non intende che rallenti la marcia verso l’obiettivo leghista. Meloni è avvertita.

Cosa ha detto Calderoli? Parole tante: percorso virtuoso, liberare energie, efficienza, responsabilità, burocrazie stratificate, cultura centralista. Un florilegio noto. Vere novità, nessuna. In primo luogo, si conferma la sostanziale emarginazione del parlamento. In realtà, tutto il Calderoli-pensiero è orientato verso la concertazione tra esecutivi. Il ruolo delle conferenze viene ripetutamente e fortemente sottolineato, in termini di leale collaborazione. È ovvio che più si espande tale ruolo, più cresce quello del ministro per le autonomie. Mentre si riduce il peso reale dell’istanza parlamentare. Una concertazione in cui è attore primario il governo arriverà poi nelle camere con tutto il peso dello stesso governo, che solo occasionalmente potrà essere smentito su una intesa raggiunta in sede di conferenza. Così il sistema delle conferenze scivola verso un ruolo di terza camera di fatto, con una parallela caduta di rappresentatività delle assemblee elettive.

Calderoli argomenta che la sua proposta di legge di attuazione è di per sé un momento di partecipazione parlamentare. Ma va notato che nelle bozza che hanno avuto circolazione viene definito per le intese solo il procedimento di formazione, in cui il parlamento si esprime unicamente con parere non vincolante della commissione bicamerale per le questioni regionali. I contenuti dell’autonomia differenziata trovano definizione nelle singole intese, e non nella legge di attuazione.

Lo riconosce implicitamente lo stesso Calderoli, quando – nella replica finale – ammette che la legge di attuazione non è richiesta dall’art. 116.3. Ancor più quando dice che i pre-accordi del 28 febbraio 2018 avrebbero potuto essere inviati al parlamento ed essere assunti come tali per l’attribuzione della maggiore autonomia ai sensi dell’art. 116.3. Se l’autonomia si definisce con l’intesa, a che serve la legge di attuazione?

In ogni caso, l’unica marginale attenzione per il parlamento che si trova nell’audizione di Calderoli è sulla votazione a maggioranza assoluta della legge ex art. 116.3, fin qui disegnata come mera ratifica. Rinvia infatti la questione ai regolamenti parlamentari e ai presidenti di assemblea. Una ipotesi già emersa nel confronto politico e dottrinario sul tema.

L’audizione di Calderoli conferma altresì che un punto assai debole nel complesso meccanismo messo in piedi con la bozza di legge di attuazione e con l’art. 143 è la mancata assunzione dell’obiettivo di superare i divari territoriali. C’è stato un botta e risposta con le opposizioni sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep), con un primo sbarramento di critiche soprattutto all’art. 143. Sotto accusa il percorso, che si vorrebbe tecnico, per la determinazione dei Lep. Laddove, come ho già scritto su queste pagine, i Lep sono anzitutto una decisione politica da prendere in una sede appropriata e responsabile, come il parlamento: quali materie, quali ambiti in ciascuna materia, quali risorse, quali tempi. Notazioni riprese negli interventi degli esponenti dell’opposizione Zaratti, Provenzano, Schlein, Auriemma.

Calderoli non ha speso ragionamenti per negare il rischio di frammentare il paese in repubblichette semi-indipendenti, con crescita esponenziale di divari territoriali e diseguaglianze. Ha mostrato cenni di affanno, come quando ha argomentato che il commissario previsto nell’art. 143 è uno spaventapasseri che vuole far emergere i Lep, per ventuno anni sempre rimasti nel cassetto. La vera ragione è che – come ha detto Provenzano – i Lep non si fanno con i fichi secchi. È necessario avere e mettere in campo risorse adeguate.

Come l’autonomia differenziata possa far ripartire il paese tutto, quando nel futuro prevedibile ancora avremo un regime di fichi secchi, Calderoli non lo dice. Ci comunica solo che i fichi secchi non gli piacciono. Ma non ci passi il piatto: non piacciono nemmeno a noi.