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Autonomia, i ricorsi diretti anticipano il referendum

Autonomia, i ricorsi diretti anticipano il referendum

Riforme a Corte costituzionale ha fissato a novembre la decisione sulla legge Calderoli. Relatore Pitruzzella. Depositate ieri le firme ma il quesito può saltare o cambiare

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 27 settembre 2024

Un milione e trecentomila firme a sostegno del referendum abrogativo sono un gran bel segnale contro l’autonomia differenziata. Il comitato promotore le ha consegnate ieri in Cassazione. Ma prima dei cittadini elettori e prima ancora della Corte costituzionale sulla proponibilità del referendum, a decidere sulla legge Calderoli e sul progetto di federalismo competitivo messo in campo dal governo Meloni saranno direttamente i giudici costituzionali, entro un paio di mesi, a novembre.

Si chiama «ricorso diretto» quello che hanno sollevato davanti alla Corte costituzionale quattro regioni guidate dal centrosinistra – Campania, Sardegna, Toscana e Puglia – mentre i promotori del referendum abrogativo raccoglievano le firme online e nei banchetti.

Proprio oggi si uniranno al referendum sull’autonomia cinque regioni – oltre alle quattro già citate c’è anche l’Emilia Romagna – i cui rappresentanti sono attesi in Cassazione per depositare le loro richieste (oltre al referendum totalmente abrogativo le regioni propongono anche un quesito parziale). Il «ricorso diretto» si basa sull’assunto che la legge Calderoli «lede una sfera di competenza» della regione: può darsi anche il caso contrario e questo conflitto tra Stato e Regioni previsto dall’articolo 127 della Costituzione è l’unico caso in cui è possibile interpellare direttamente i giudici sulla costituzionalità di una legge.

Nello stabilire il calendario dei lavori, il collegio della Corte ha deciso di anticipare il giudizio – così importante per l’assetto istituzionale della Repubblica e anche per le sorti del governo in carica – a novembre e avrebbe deciso di assegnare il delicato compito di giudice relatore a Giovanni Pitruzzella. Professore di diritto costituzionale, Pitruzzella è l’ultimo arrivato alla Corte (lo ha nominato il presidente della Repubblica assieme alla professoressa Sciarrone meno di un anno fa), precedentemente era stato presidente dell’Antitrust; è un giurista stimato che ha collaborato a lungo con Marcello Pera e Renato Schifani, Forza Italia.

I QUATTRO RICORSI arrivati alla Corte dalle regioni, tutti molto articolati, chiedono che venga dichiarata incostituzionale l’intera legge Calderoli e in subordine alcune sue parti. La partita si giocherà in prima battuta sull’ammissibilità dei ricorsi, dal momento che le regioni dovranno dimostrare una concreta lesione delle loro competenze a carico della legge quadro, non essendoci state ancora le intese tra Stato e regioni né le conseguenti devoluzioni di funzione.

Il fatto di aver anticipato il giudizio sui ricorsi diretti rispetto a quello sull’ammissibilità dei referendum (sulla quale molto si dibatte, lo fa poco correttamente lo stesso Calderoli negandola), che per legge la Corte deve fissare entro il 20 gennaio del prossimo anno, risponde a un criterio di ragionevolezza. Se i ricorsi saranno accolti e la legge Calderoli sarà dichiarata incostituzionale non ci sarà infatti alcun referendum sull’autonomia.

Ma è possibile anche che la legge Calderoli sia dichiarata parzialmente incostituzionale, per esempio nella parte – che appare tra le più attaccabili – in cui non pone un limite alle materie che lo Stato può devolvere alle regioni e non vincola questa possibilità al particolare contesto regionale. Così che in pratica ogni regione può chiedere senza particolari motivazioni la devoluzione non solo di specifiche funzioni ma di intere materie, tutte quelle comprese nel lungo elenco dell’articolo 117 della Costituzione. Che è poi quello che è accaduto quando furono intavolate le trattative con le regioni del Nord al tempo del governo Gentiloni.
Se dunque la Corte dovesse accogliere in maniera parziale i ricorsi regionali, sarà poi la Cassazione a decidere se i referendum abrogativi resteranno o meno in piedi ed eventualmente come andrà ridefinito il quesito. Non si ricordano precedenti di leggi sottoposte a referendum modificate prima del voto non dal legislatore ma dai giudici costituzionali.

IL COLLEGIO dei giudici costituzionali che deciderà sui referendum, assai probabilmente, sarà ancora mancante di un componente su quindici, anche quando a novembre sarà trascorso ormai un anno dalla cessazione dell’ex presidente Sciarra. La maggioranza infatti continua a fare melina e l’opposizione a non scandalizzarsi troppo, anche se adesso il centrodestra – come ha scritto la Stampa – avrebbe il quorum per eleggere il giudice mancante. Se non procede, sanando quello che anche per il presidente della Repubblica è «un vulnus», è perché non c’è accordo tra i partiti della maggioranza. Che dunque aspettano la metà di dicembre, quando scadranno dal mandato altri tre giudici, così ci sarà lo spazio per accontentare i tre partiti di governo e per conquistare i voti di un partito di opposizione.

È una logica questa alla quale il centrosinistra farebbe bene a non prestarsi, unito. Pena il prevedibile ripetersi di un caso come quello di ieri sul consiglio di amministrazione della Rai. Magari potrebbe negarsi allo scambio ricordando proprio le parole del Capo dello Sato: la scelta di ogni giudice è una scelta individuale e non c’è spazio per logiche a pacchetto.

E non c’è spazio, a questo punto, nemmeno per ulteriori meline, visto che undici giudici (tanti saranno una volta decaduti a metà dicembre gli altri tre) è il numero minimo perché la Corte possa funzionare. Un numero dunque sempre esposto ad assenze dell’ultim’ora, proprio a ridosso dell’importante camera di consiglio sul referendum. Ammesso che prima, a novembre, la stessa Corte non chiuda anticipatamente la partita cancellando la legge Calderoli come chiedono le regioni..

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