Laurie Simmons, vite d’artista
Venezia 73 Presentato nella sezione Cinema nel giardino il film dell'artista, fotografa e regista americana, madre dell'attrice Lena Dunham. «My Art» è un corto-circuito fra realtà e finzione
Venezia 73 Presentato nella sezione Cinema nel giardino il film dell'artista, fotografa e regista americana, madre dell'attrice Lena Dunham. «My Art» è un corto-circuito fra realtà e finzione
«Il mio intento era rappresentare la vita autentica di un artista, e soprattutto di un’artista donna, nel ventunesimo secolo». Laurie Simmons, a Venezia con My Art – selezione del Cinema nel Giardino – un’artista lo è per davvero: nata e cresciuta a New York, il suo ingresso nel mondo dell’arte contemporanea risale alla fine degli anni Settanta, in cui inizia a esporre le sue fotografie di case di bambole da lei stessa allestite. La protagonista del suo film è anche lei un’artista della scena newyorchese – Ellie – in cerca di ispirazione. Un’amica le ha lasciato la casa in campagna per l’estate: lì, forse, il processo creativo potrà rimettersi in moto.
«È chiaramente un personaggio che ha molto di me stessa, ma anche un compendio di tante persone che conosco», dice Laurie Simmons di Ellie, autrice di opere di video arte che, deliberatamente, «non hanno niente a che vedere con i miei lavori».
Il cortocircuito tra realtà e finzione in un’opera così personale è però inevitabile, così come lo sono le aspettative di chi conosce il lavoro di Simmons e le sue relazioni familiari: il marito è il pittore Carrol Dunham e la figlia la famosa attrice e regista Lena Dunham. Per questo la sequenza iniziale riassume tutti gli aspetti più personali della vita di Simmons – «quel bagaglio di relazioni e riferimenti che la gente si aspetta di vedere» dice il produttore di My Art Andrew Fierberg – con una passeggiata in un museo in cui è esposto anche un quadro del marito della regista, e che culmina in un incontro con un’ affermata collega di Ellie interpretata da Lena Dunham. Messi da parte i riferimenti, la storia che ricostruisce un «autentico» frammento della vita di un artista può avere inizio, ed Ellie con il suo cane Bing si dirige nella villa in campagna dove inizia subito ad allestire il suo lavoro.
A imprimere una svolta nella sua ricerca di ispirazione è l’incontro con alcune persone di quel luogo di provincia, così vicino e allo stesso tempo così tipologicamente lontano dalla «comfort zone» di Ellie: le strade brulicanti di vita e caos di New York. «Spesso – osserva infatti Simmons – per concentrarsi sulla vita interiore, dell’intelletto, bisogna condurre un’esistenza ordinaria e semplice».
Insieme all’avvocato John e a Frank e Tom, due giardinieri aspiranti attori , Ellie comincia a realizzare una serie di riproduzioni di alcune delle scene più famose della storia del cinema: il finale di A qualcuno piace caldo, l’introduzione dei drughi in Arancia meccanica.
«Ho scelto per Ellie una forma d’arte che si rispecchiasse nel medium cinematografico», spiega Simmons. Al contempo le scene girate dalla protagonista risuonano nella narrativa di My Art: il dialogo in macchina tra Marilyn e Clark Gable negli Spostati sottolinea l’interesse amoroso che va nascendo tra Frank ed Ellie, ma ne evidenzia anche la natura sbilanciata. La raffigurazione realistica del processo creativo di un’artista si inserisce così, mano a mano che si sviluppa un sentimento tra Frank e Ellie, nel genere della romantic comedy, il più classico dei sogni d’evasione made in Hollywood.
Ma l’arte della protagonista si inserisce nella discrepanza: tra i divi e le persone comuni, tra un trasparente cinematografico e il mare, tra il cinema e la vita. Allo stesso modo il film di Laurie Simmons esplora il tradimento delle aspettative del genere (filmico) e di genere (femminile): la sessantenne Ellie non ha bisogno di sistemarsi trovando un compagno, l’happy end non coincide necessariamente con il sogno d’amore hollywoodiano.
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