Editoriale

L’attacco allo stato di diritto minaccia tutti

L'arrivo in Libano di Giorgia Meloni foto di Marwan Naamani/ApL'arrivo in Libano di Giorgia Meloni foto di Marwan Naamani/Ap

Fallimento e reazione È la storia del potere politico che si pretende immune dal rispetto delle leggi, la vittoria elettorale come unico crisma riconosciuto della legalità. Ho i voti quindi posso

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 19 ottobre 2024

Nella sua marcia sullo stato di diritto, la destra italiana registra continue sconfitte, ma arretrando trascina con sé il paese. Ogni volta un passo indietro lungo la scala della democrazia e della civiltà. L’ultima, prevedibilissima, sconfitta con la mancata convalida dei trattenimenti dei pochi migranti rimasti nei campi di concentramento in Albania porta con sé immediato un nuovo annuncio. Arriverà un nuovo decreto, arriverà subito, entro due giorni, per cambiare la lista degli «Stati sicuri». Dirà, più o meno, che uno Stato è sicuro e quindi deve riprendersi i migranti anche se fuggono da violenze e torture, è sicuro perché lo dicono la presidente del Consiglio e il suo ministro poliziotto dell’interno.

Non basterà, neanche stavolta, perché la sentenza della Grande sezione della Corte di giustizia europea alla quale ieri ha fatto riferimento il Tribunale di Roma per ordinare il rimpatrio dei migranti vale anche per il governo italiano. Così come valgono la Costituzione e i Trattati internazionali e ci sarà sempre una giudice o un giudice che non abdicando alla sua funzione li farà applicare. Ma intanto l’attacco del governo Meloni di decreto in decreto e di proclama in proclama va concentrandosi e chiarendosi. Punta direttamente al cuore dello stato di diritto e ai principi fondamentali della nostra malandata democrazia.

«Lasciateci lavorare» non è certo formula nuova per demagoghi e reazionari. Così reagendo all’ennesimo smacco nella sua guerra ai migranti, il governo ricorre a questo antico slogan, in una versione appena più articolata: «Rispettiamo la magistratura, ma la magistratura ci lasci lavorare». La seconda parte della frase nega evidentemente la prima ed ha anch’essa una sua lunga storia nella destra nazionale. È la storia del potere politico che si pretende immune dal rispetto delle leggi, la vittoria elettorale come unico crisma riconosciuto della legalità.
Ho i voti quindi posso.

Eppure rispetto alla versione originale del sillogismo di impunità, quello introdotto nella politica italiana da Silvio Berlusconi – il leader che a suo tempo ha allevato tutti e tre i protagonisti di oggi, Meloni, Salvini e Tajani – la nuova versione è assai più pericolosa. Non bisogna farsi confondere dai colpi di teatro, dalle quasi identiche sfilate di ministri solidali con il capo, quella radunata ieri a Palermo da Salvini come quella ordinata dal Cavaliere a Milano nel 2013. Oggi la minaccia è molto più alta.

Se infatti Berlusconi pretendeva impunità per difendere se stesso e i suoi affari, la destra oggi reclama di divincolarsi dalle leggi per portare a segno la sua quotidiana missione di egoismo e segregazione. Chiede al paese una tanto più facile complicità contro i migranti, colpevoli di nulla se non di essere tali. Se Berlusconi nella sua crociata contro le toghe aveva l’appoggio altalenante delle simpatie e delle invidie del popolo, Meloni e compagnia possono contare sull’eterna paura dell’altro da sé, che loro stessi alimentano.

I giudici, dunque, almeno quando si ostinano a seguire la gerarchia delle leggi e i principi superiori (il che peraltro non avviene sempre, malgrado il governo voglia farlo credere), sono dei nemici perché non collaborano a questo missione superiore.

Ecco dunque che nell’umiliante sfilata palermitana di ministri come nell’arringa difensiva al processo «Open Arms» (che ha portato nell’aula di giustizia gli argomenti della piazza, in buon avvocatese) come negli annunci di guerra della presidente del Consiglio, non si tenta nemmeno una difesa di Meloni e Salvini e dei loro fallimenti. Ma si giura di combattere per «la patria» e per «i confini». Una retorica da ultimo stadio che se non altro chiarisce il punto di arrivo della marcia sullo stato di diritto. Perché l’elenco dei nemici da abbattere a mani libere comincia con i migranti ma è assai più lungo.

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