«Con Schlein c’è stato un dialogo, credo dovessero fare delle verifiche, poi più nulla. Non nascondo un dissenso politico importante, ma in un grande partito non dovrebbe essere un problema. C’è una assenza di agibilità determinata da logiche territoriali autoreferenziali. Sempre le stesse. Prendo atto, con disappunto, dell’indifferenza verso il lavoro svolto e l’imbarazzo per le battaglie fatte. Soprattutto quelle ambientaliste e pacifiste». Con queste parole Massimiliano Smeriglio, parlamentare europeo indipendente eletto nel Pd annuncia il suo abbandono della delegazione a Bruxelles.

Cosa succede, Smeriglio?
Ho deciso di fare una scelta difficile, coerente con la mia storia e con le posizioni assunte in parlamento, lasciare la delegazione Pd e dedicarmi al rafforzamento di una alleanza per la giustizia climatica e sociale e un’Europa soggetto di pace.

Non può farlo stando nel Pd?
Nel tempo, su questioni di fondo, la distanza è aumentata, soprattutto su transizione ecologica e guerra. Neanche come Coordinatore S&D della Commissione Cultura c’è stata interlocuzione con il gruppo dirigente.

Eppure quel partito sta cercando di dar vita a un nuovo corso…
Il tema è come ricostruire la credibilità. Manca, nel Campo democratico, una discussione sul profilo politico culturale e programmatico. Una riflessione critica sui dieci anni di governi tecnici, di unità nazionale, di tutti che hanno governato con tutti e che hanno determinato una profonda modificazione del Paese gonfiando le vele della destra estrema. Per molti, noi siamo l’élite e la destra il popolo: non è solo un tema di percezione. Per questo con European green party e Left ho votato contro il ritorno al vecchio Patto di Stabilità pre-pandemia che strangola persone e enti locali.

In diverse altre occasioni ha avuto posizioni differenti da quelle del Pd.
Certo. Il massacro di Gaza, la guerra in Ucraina, la richiesta del il cessate il fuoco, la folle corsa al riarmo di 27 Stati, la centralità della questione ecologista (imballaggi, nucleare, pesticidi), la gestione dei flussi migratori, l’assenza di un sussulto garantista, l’equiparazione fascismo comunismo. E poi le questioni sociali come quelle affrontate da Sanchez e Diaz in Spagna: patrimoniale, difesa del reddito e del salario, contrastare la subalternità al liberismo e alla supremazia tecnocratica. O come declinare il femminismo anche tra i diritti sociali, dentro il conflitto capitale lavoro e dentro il ciclo della produzione e riproduzione sociale.

Da qui la scelta di lasciare la delegazione?
Una scelta sofferta, visto il buon rapporto con i miei colleghi, ma continuerò a battermi. Guardo con attenzione a Europa Verde e Sinistra Italiana. Avs è diventata punto di riferimento per tante reti, vertenze, conflitti territoriali e esperienze di governo come quella di Roma con Gualtieri.

Correrà con loro alle europee di giugno?
La mia è una scelta essenzialmente politica. Più avanti parleremo di elezioni e candidature.

Da cosa riparte?
Dai fondamentali, giustizia ambientale e sociale, l’alleanza per il clima, le modificazioni del lavoro al tempo dell’intelligenza artificiale e dello strapotere delle piattaforme, la difesa del pianeta, la limitatezza delle risorse e la loro redistribuzione sociale. E poi il reddito universale vista la contrazione del lavoro e il dispiegarsi del lavoro povero.

A questo punto viene da chiedersi: cosa ci faceva nelle liste del Pd?
Sono arrivato in orbita Pd, da indipendente, con Piazza grande, movimento che coordinavo e che ha accompagnato Zingaretti alla segreteria. Ho accettato quella sfida per modificare le forme dell’organizzazione politica, spostando l’asse a sinistra. Molta gente ci ha creduto. Quella stagione è finita malamente, con le dimissioni incomprensibili di Zingaretti motivate da giudizi durissimi sulla natura irriformabile del Pd a cui è seguito solo silenzio.

Poi più nulla?
C’è stata una coda, le Agorà di Letta, tramite le quali Schlein è arrivata al Pd. Niente più. Per me la partecipazione, l’autoriforma dei partiti e del campo, insieme ad un robusto investimento sulla cultura politica e al rapporto oggi inesistente con gli intellettuali, continuano ad essere tema strategico. Rimpiango la fase in cui di questo tema si discuteva, anche nel Pd, grazie alle iniziative di Bettini. A proposito un partito plurale che non utilizza uno come Bettini rimanda una immagine non proprio edificante.

Riconoscerà tuttavia che la crisi della rappresentanza non riguarda solo il Pd.
Bisogna adeguare le forme della rappresentanza alle modificazioni della società, dei luoghi di lavoro e di vita delle persone. Così come le primarie, nella scelta dei candidati presidenti di Regioni e sindaci, restano un’approssimazione democratica più efficace dei caminetti.

Con un occhio ai movimenti di questi anni?
Ecco: tra Ultima Generazione e il paternalismo o le ramanzine della sinistra per bene, scelgo i ragazzi, anche quando faccio fatica a comprendere forme di lotta estreme, in cui mettono in gioco persino la loro incolumità. Oltre a indignarci per i saluti romani e i 500 fascisti di Acca Larentia che a differenza nostra non hanno dimenticato i loro caduti, dovremmo cogliere e combattere le forme del fascismo diffuso, culturale e giudiziario, che come dimostrano le scelte del governo (dai rave agli ecoattivisti) cerca di colpire e normare qualsivoglia comportamento antagonista, i corpi, i generi, le generazioni.

Non crede a un antifascismo per via giudiziaria?
Appellarsi solo alla «legge» quando si è di fronte a fenomeni di recrudescenza neofascista senza porsi il tema della partecipazione, della vigilanza democratica e del presidio dei luoghi, non è una grande idea. Il legislatore e i giudici interpretano lo spirito del tempo, noi dovremmo restare fedeli all’antifascismo come pratica di liberazione di massa, come valore non negoziabile e non come artificio retorico strumentale per prendere qualche voto in più. È l’uso elettorale dell’antifascismo che lo umilia e rimpicciolisce.

Il modo di interpretare l’antifascismo diventa centrale.
Sì, perché la destra reinventa il senso comune, il campo democratico cerca di contrastarla con il buon senso di salotti e opinionisti. Non basta. Serve rimettere insieme un movimento fondato su un’altra idea di società, sui servizi pubblici come scuola e sanità, sulla svolta verde, sulla politica che emancipa le persone trasformandole in popolo. La politica serve a questo: è un argine alla barbarie che sa coniugare coscienza di classe e coscienza di luogo. Se la destra è guerrafondaia, egoista, proprietaria, patriarcale, misogina, razzista, negazionista sul clima, nazionalista, atlantista, giustizialista noi dovremmo costruire una narrazione del tutto opposta. Ecologista, pacifista, solidale, comunitaria, libertaria, fluida, europeista, garantista e di sinistra. Per questo è tempo di scelte coraggiose.