59 morti e 527 feriti, questo, mentre scriviamo, il bilancio dell’ennesimo mass shooting, il più sanguinoso della storia americana, avvenuto a un concerto country al Mandalay Bay hotel di Las Vegas, durante la notte di domenica.

Ad aprire il fuoco, secondo la polizia, è stato il pensionato 64 enne Stephen Paddock, il più anziano attentatore nella storia degli Usa.

Dal 28 settembre Paddock occupava un stanza al 32 piano del Mandalay Bay, che affacciava direttamente sul luogo del concerto. In questa stanza l’uomo era riuscito a portare un piccolo arsenale, si parla di almeno 10 fucili e 8 pistole, più armi semi automatiche che ha usato per sparare dalla finestra su di una folla di 22.000 persone che inizialmente ha scambiato gli spari per i rumori di fuochi d’artificio.

E’ stato solo durante la seconda raffica di colpi che l’evidenza è stata chiara, i cantanti hanno smesso di suonare ed il panico si è sparso tra il pubblico, in rete sono iniziate ad arrivare le immagini girate con i telefonini e poco dopo la polizia è arrivata sul luogo del massacro, ha chiuso la zona, la famosa strip di Las Vegas, illuminata a giorno dalle insegne dei casino e degli hotel, e in pochi minuti il perimetro è diventato una zona spettrale, deserto, con le luci delle macchine della polizia che si mischiavano alle luminarie del divertimento di massa.

L’attentatore si sarebbe suicidato nella sua stanza subito prima di essere preso dalla polizia e le ragioni di questo massacro sono al momento oscure; l’Fbi ha escluso collegamenti con organizzazioni internazionali così come ha confermato la polizia di Las Vegas, nonostante a poche ore di distanza dalla strage, Isis, attraverso la sua agenzia Amaq, avesse rivendicato l’attacco definendo Paddock uno dei soldati del califfato, da poco convertito all’Islam, con il nuovo nome di Samir Al-Hajibma.

Questa teoria è stata drasticamente smentita anche da fonti dell’amministrazione Usa.

Il ritratto dell’attentatore non fornisce nessun chiarimento: il 62enne viveva con la sua compagna pressochè coetanea a 130 chilometri da Las Vegas, a Mesquite, un piccolo centro di 20.000 abitanti, per lo più pensionati con la passione del golf. Secondo le prime ricostruzioni giocava d’azzardo regolarmente.

Stando alle dichiarazioni del fratello, Paddock non aveva una preparazione militare, possedeva sì un paio di pistole ma non era un esperto di armi: “La sua vita era un libro aperto. Era andato al college, aveva un lavoro, qualcosa deve essere successo”.

Ciò che sicuramente è accaduto è che l’uomo ha avuto la possibilità di entrare indistrurbato in un hotel con un arsenale di armi semi automatiche, tutte regolarmente acquistate in un qualsiasi negozio americano, e ciò riapre la dolorosa questione del controllo delle armi negli Stati Uniti.

“L’ennesimo episodio di violenza per arma da fuoco” l’ha definita il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, uno dei principali promotori della regolamentazione per la vendita delle armi.

“Un atto di pura malvagità” l’ha invece definito Trump nella sua dichiarazione ufficiale dove non ha fatto alcun cenno alle leggi sulle armi.

Trump è di certo il presidente americano della storia moderna più vicino alla Nra, la potentissima lobby delle armi, che l’ha sempre sostenuto, politicamente ed eonomicamente durante e dopo la campagna presidenziale, tanto che il suo discorso per i 100 giorni di presidenza, The Donald lo ha fatto proprio dalla sede della National Rifle Association, definendosi “il vostro migliore amico”.

Trump già in campagna elettorale aveva dichiarato di possedere armi e di girare spesso armato; “Potrei essere armato anche ora”, aveva detto in diretta tv durante un dibattito per le primarie repubblicane, e uno dei suoi primi atti da presidente, il 1 marzo, è stato quello di annullare una legge voluta strenuamente e ottenuta a fatica da Obama per impedire la vendita di armi da fuoco a persone con conclamati disturbi mentali.

Al momento, in America, è al vaglio una legge proposta dai repubblicani più vicini al presidente, che vorrebbe rendere illegale l’uso del silenziatore in quanto, stando ai suoi promotori, il rumore degli spari può offendere l’udito dei cacciatori. Poco importa se un’arma silenziata usata in un mass shooting rende più difficile per la polizia identificare da dove provengano gli spari.

Trump mercoledì sarà a Las Vegas e in queste ore, anche se lo sta evitando, dovrà rispondere a più di una domanda sul gun control.

Le sue esternazioni al momento sono state minime rispetto al solito fiume di tweet; “Oggi è un giorno di shock e dolore per il nostro Paese” ha scritto Trump sul social network, ed ha definito miracolosa la reazione della polizia, aggiungendo che gli Usa “saranno sempre grati alle forze dell’ordine per aver trovato così presto il tiratore”, e ha poi lanciato un appello per l’unità e la pace nel Paese.

La polizia, dopo aver identificato Paddock grazie a una delle sue auto, sta cercando altri due veicoli considerati di interesse, una Hyundai Tucson e una Chrysler Pacifica Touring, e ha emesso un mandato di perquisizione per l’abitazione del tiratore.

A Las Vegas si è messa in azione la macchina della solidarietà, si sono formate file lunghissime per donare il sangue,

All’University Medical Center il grande trauma center del Nevada, per quasi tre ore i pazienti sono arrivati ​​senza sosta, molti in auto o, in un caso, in molti trasportati nella parte posteriore di un camion.

Al Sunrise Hospital & Medical Center, che si trova a poca distanza dal luogo del concerto, 90 pazienti sono arrivati ​​nelle prime ore dall’attentato e a mezzogiorno il totale aveva già raggiunto i 180 ricoveri.