Un voto alla Knesset, al termine di una seduta segnata da scambi di accuse velenose tra i rappresentanti dei partiti della maggioranza uscente e quelli dell’opposizione, ha messo fine ieri alla 24esima legislatura. Gli israeliani il 1 novembre torneranno alle urne per le quinte elezioni in tre anni e mezzo. Da oggi il paese ha anche un nuovo premier, provvisorio, fino al voto, Yair Lapid, il ministro degli esteri che il prossimo anno, così come prevedevano gli accordi di coalizione, avrebbe dovuto sostituire Naftali Bennett alla guida del governo. Gli sviluppi sono andati come avevano previsto un po’ tutti, un anno fa. La fragile coalizione composta da otto partiti di colore diverso, fra cui l’arabo-islamista Raam, non ha retto le differenze interne e le pressioni esterne. Con una maggioranza di appena un seggio – 61 su 120 – il governo era nato più di ogni altra cosa per porre termine ai 12 anni di potere di Benyamin Netanyahu, finito nel frattempo sotto processo per corruzione e abuso di potere. Ma la presenza araba non è mai accettata proprio dal partito Yamina del premier Bennett, troppo nazionalista e di destra per digerire quella novità politica – non si era mai vista in oltre 70 anni di storia di Israele – al punto da sgretolarsi poco alla volta con alcuni dei suoi deputati decisi a fare retromarcia.

Sarà un interim lungo quello di Lapid, leader 58enne del partito Yesh Atid (C’è un futuro). Quattro mesi in cui questo giornalista e personaggio televisivo, laicista convinto e portavoce della classe media di Tel Aviv – che ora si sta impoverendo per il costo della vita e gli affitti saliti alle stelle – potrà giocarsi per la settima volta le sue carte contro Netanyahu in una campagna elettorale senza esclusione di colpi che è già cominciata. Dalla sua parte, inoltre, non avrà l’alleato Bennett che due giorni fa ha annunciato che rimarrà per un po’ dietro le quinte della politica. Anche per questo le possibilità di Lapid appaiono molto limitate. «Il premier ad interim non riuscirà a trovare il sostegno di cui ha bisogno per lanciare una sfida concreta a Netanyahu che parte avvantaggiato grazie al fallimento dell’esperimento politico tentato da Bennett» diceva ieri al manifesto l’analista Michael (Mikado) Warshansky. «Temo che Netanyahu questa volta abbia la possibilità di mettere insieme una maggioranza stabile – ha aggiunto -, alcune delle forze di destra che lo avevano abbandonato già segnalano di voler far ritorno all’ovile».

Netanyahu è assetato di rivincita. Ieri alla Knesset ha speso gran parte del suo intervento lanciando accuse. Non tanto alle (deboli) forze del centro sinistra e ai partiti arabi (suo bersaglio abituale), quanto ai rivali di destra di Yamina e di Nuova Speranza che avevano fatto naufragare nel 2021 il suo tentativo di confermarsi primo ministro, spingendolo verso l’aula di tribunale dove ora viene giudicato. «Tornerò per ripristinare l’orgoglio nazionale» ha proclamato perentorio Netanyahu. Per lui ora è tempo di togliersi più di un sassolino dalla scarpa e di provare a umiliare chi lo riteneva ormai fuori dai giochi.

Le tendenze attuali dicono che il Likud, il partito di Netanyahu, è destinato a vincere la corsa. Un sondaggio d’opinione diffuso da Canale 12 indica che Netanyahu e gli alleati più fedeli – i religiosi ultraortodossi e Sionismo Religioso (l’estrema destra razzista) – ora a 55 seggi, nella nuova Knesset avranno 58 deputati. A questi si aggiungeranno i cinque probabili seggi di Yamina – ora non più guidato da Bennett ma dalla ministra dell’interno Ayalet Shaked -, permettendo così alla destra ricompattata sotto la guida di Netanyahu di formare una maggioranza stabile. Shaked già una settimana fa si era detta pronta a far parte di un governo, capeggiato da Netanyahu, senza far ricorso alle elezioni.

«È arduo immaginare scenari politici diversi da questo ma alcune variabili potrebbero avere un peso in questi quattro mesi, dando a Lapid opportunità insperate», spiegava ancora Warshansky, riferendosi alle sfide regionali e internazionali attese nelle prossime settimane. Lapid, che nel governo uscente è stato un sostenitore accanito dell’Ucraina mentre Bennett garantiva a Putin la neutralità di Israele, a metà luglio accoglierà Joe Biden che intende dare alla sua missione in Medio oriente un carattere anti-iraniano e a sostegno della «Nato israelo-araba» in formazione. Con il negoziato sul nucleare iraniano che non fa progressi, una nuova guerra non è da escludere. Lapid, non a caso, ha elencato tra le questioni geopolitiche che domineranno il suo periodo in carica proprio l’Iran e il movimento libanese Hezbollah. Non pochi leader israeliani, anche in anni recenti, hanno costruito o consolidato il consenso sui conflitti armati.