Il rogo di Johannesburg della scorsa settimana ricorda quello di Grenfell Tower, a Londra, nel giugno del 2017. A Johannesburg 73 morti, a Londra 72. L’impero e la colonia che ha saputo mantenere legalizzata – sotto la forma dell’apartheid – quella che Walter Mignolo definisce «colonialità»: la logica del colonialismo che sopravvive anche dopo la sua scomparsa ufficiale. Se prima era il Sudafrica a dare un esempio lampante di come in realtà non sia mai scomparso, ora lo stesso si potrebbe dire del regime della Cfa (Comunità Finanziaria Africana) francese come viene raccontato nel film Money Freedom (2023) di Katy Léna Ndiaye.

IL SUDAFRICA è uno dei paesi più ricchi del continente africano. Sono sudafricani gli ospedali (privati) in cui la classe politica e imprenditoriale africana, da ogni parte del continente, viene a curarsi. Proprio a poca distanza dal palazzo bruciato, nel Cbd (Central Business District) di Johannesburg, fino ad alcuni anni fa si promuoveva per i giovani professionisti creativi – bianchi e neri – la “vibrante” esperienza urbana del Maboneng un progetto di rigenerazione della città, sinonimo di gentrificazione, che alla fine è risultato in una vittoria al contrario: se ne sono andati via i gentrifiers, coloro che non si erano mai neppure sognati di avvicinarsi al centro. Gli edifici sono ora abbandonati. Destinati forse ad essere occupati anch’essi.

IL CBD DI JOHANNESBURG è stato abbandonato nel ’94, con la fine dell’apartheid, preso d’assalto dai cittadini neri a cui prima veniva permesso l’accesso solo attraverso un passaporto. La municipalità aveva creato un nuovo centro: Sandton. Un centro commerciale, ad uso misto (residenziale e commerciale) in cui una gigantesca statua di Nelson Mandela accoglie a braccia aperte tutti coloro che hanno una carta di credito. Bianchi e neri, perché la Bee (Black Empowerment Economy), una politica la cui lodevole intenzione – facilitare una più ampia partecipazione da parte dei neri ai businesse del paese – ha favorito il sorgere di una élite nera, in parte già latente, come descritto nel libro Élite Transition di Patrick Bond.

Nel commentare la tragedia di cinque giorni fa, il sindaco di Johannesburg, Kabelo Gwamanda (del partito Al Jama-ah), così come Lebogang Maile (Anc), responsabile degli insediamenti umani e delle infrastrutture, non hanno mancato di fare ampio riferimento alla situazione di degrado e di criminalità di quelli che vengono definiti hijacked buildings: gli edifici occupati. Al Jama-ah è un partito fondamentalista musulmano che l’Anc e l’Effhanno elevato alla leadership di Johannesburg come parte dell’accordo di coalizione stabilito per potersi assicurare il controllo della cittàà contro il partito avversario, Democratic Alliance (Da).

GLI HIJACKED BUILDINGS descritti in forma romanzata nel film Jesuralema (2008) di Ralph Ziman – sono palazzi occupati la cui illegalità non risiede nell’occupazione: vista l’assenza di una politica abitativa degna di questo nome, le persone occupano. Successivamente gruppi criminali prendono possesso dei palazzi e sottopongono i residenti a strozzinaggio. Questa è l’illegalità, non certo il fatto che le persone soddisfino il proprio diritto alla casa occupando edifici abbandonati in aree centrali della città, vicine alle opportunità di lavoro. La pratica di sfruttamento della prostituzione di donne e bambine, gli stupri, la vendita di droga, gli omicidi che avvengono in questi luoghi sono ignorati dalle autorità cittadine, incapaci non solo di rispondere alla criminalità ma di provvedere a fornire ai cittadini alloggi adeguati: l’adequate housing previsto dalla sezione 26 della costituzione sudafricana. Invece la retorica è sempre quella della criminalizzazione della povertà.

Non c’è nulla di nuovo o sorprendente: la crisi abitativa sudafricana è una delle peggiori eredità della discriminazione razziale dell’apartheid. Si era cercato di affrontarla nel ’94 con il Reconstruction and Development Programme lanciato dal governo di Nelson Mandela, ma il programma non ha raggiunto i risultati previsti e anzi, molte delle politiche abitative che ha prodotto sono a dir poco offensive della dignità umana. Come le Temporary Relocation Areas – le zone di ricollocamento temporaneo – previste per la rimozione di migliaia di residenti di aree “informali” durante i preparativi dei mondiali di calcio del 2010, e dove tuttavia le persone ancora vivono, senza servizi basici.

SUL CASO DEL CBD di Johannesburg proprio l’anno scorso è stato pubblicato un libro intitolato The Blinded City, di Matthew Wilhelm-Solomon, che affronta questo problema negli ultimi dieci anni nel centro della città sudafricana.
L’edificio andato a fuoco la scorsa settimana era noto come Usindiso e fungeva da rifugio per donne e bambini maltrattati fino al suo abbandono da parte del Comune, con conseguente caduta in rovina del palazzo fino a divenire quello che i rappresentanti della City of Joburg definiscono «hijacked»: letteralmente sequestrato. In risposta, il Socio-Economic Rights Institute (Seri) ha emesso una dichiarazione in cui denuncia come «l’incendio di Usindiso è un esempio di come la città gestisce i suoi rifugi. Scaricare la colpa sulle Ong, come stanno facendo attualmente coloro che parlano a nome della città, dimostra la riluttanza del comune ad assumersi la responsabilità della crisi abitativa nei centri urbani».

UNA EFFETTIVA politica abitativa, in tutto il mondo, richiede una maggiore comprensione di cosa comportino gli alloggi a prezzi accessibili nei centri urbani, e di come siano collegati ai problemi della povertà, della riduzione della povertà, e della creazione di città e comunità sostenibili. Al contrario stiamo sempre più assistendo a strategie speculative sulla casa di cui anche il Sudafrica fa parte a pieno titolo: basti pensare al prezzo degli affitti dell’enclave ricca di Cape Town, simili a quelli milanesi. Non a caso molti londinesi vo trovano il loro “habitat” preferito per le vacanze di Natale.