Internazionale

L’antifascista di Istanbul

L’antifascista di IstanbulIstanbul durante la prima guerra mondiale

Italia/Turchia Mentre le camicie nere fondano la loro succursale istanbuliota, tra il 1927 e il 1945 Ezio Bartalini, socialista esule sul Bosforo, fa sbocciare la cultura italiana nella Turchia di Mustafa Kemal Atatürk

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 22 settembre 2021

Istanbul, la megalopoli mediterranea che oggi conta quasi 20 milioni di abitanti, è anche sede della più antica comunità italiana al mondo. La storia della presenza italiana in Turchia e in generale in Levante, non è una storia molto nota sia per i numeri, senza dubbio ridotti rispetto alla presenza italiana nelle Americhe o in Europa, sia per la perdita di centralità che tutto il Mediterraneo orientale ha avuto dalla seconda metà del Novecento.

Eppure qui, tra Europa e Asia Minore, sono sorte le prime scuole italiane all’estero, qui sulle rive del Bosforo gli esuli risorgimentali hanno trovato rifugio e il termine italiano è ancora oggi sinonimo di levantino.

NELLA VECCHIA capitale dell’Impero Ottomano gli italiani hanno saputo integrarsi, fare affari e mescolarsi con altre culture, fedi, lingue. Ecco perché in un ipotetico tour dell’Istanbul odierna, anche il turista meno curioso si accorgerebbe dei continui riferimenti alla cultura italiana che questa città offre a ogni angolo.

Tra i più autorevoli precursori dell’insegnamento della lingua italiana a Istanbul troviamo addirittura Giuseppe Garibaldi: tra il 1829 e il 1831 lavora come precettore in una città che pullula di esuli politici, rivoluzionari e intellettuali fuggiti dall’Europa dei moti rivoluzionari del 1820.

Bisogna tuttavia attendere l’Unità italiana per veder sorgere le prime scuole italiane in città. L’organizzazione che più di altre si spende per la costituzione di una rete educativa in lingua italiana è la Società Operaia di Mutuo Soccorso, sodalizio composto da esuli politici fondato nel 1863.

ALL’ALBA del Ventesimo secolo la comunità può vantare una rete capillare di associazioni, imprese, scuole, giornali e istituzioni. Uno sviluppo bruscamente interrotto dalla Guerra di Libia, l’evento bellico che apre un lungo periodo di violenze, instabilità e guerre e che si conclude solo con il collasso dell’impero.

Ezio Bartalini

Da quella data si inaugura una nuova fase per gli italiani di Turchia: l’ascesa del Fascismo in Italia coincide grossomodo con la nascita della Repubblica di Turchia, un paese nato dalle ceneri dell’Impero ottomano e costruito secondo un disegno nazionalista. Il fascismo si struttura nella neo-repubblica turca secondo il medesimo schema condiviso da tutte le delegazioni di camicie nere all’estero. Spesso composti da ex combattenti della Grande Guerra e da piccoli circoli patriottici, questi gruppi sono raccolti dal 1923 sotto un’organizzazione ombrello: la Segreteria dei Fasci italiani all’Estero. Una galassia nera che si muove nelle comunità italiane all’estero.

LA SEDE DI ISTANBUL rappresenta il cuore e la struttura dell’organizzazione fascista in Levante, modello e guida per gli altri comitati sorti nello stesso periodo in Anatolia e Tracia orientale. Al suo interno si trovano uomini di chiesa, imprenditori, membri dell’alta borghesia levantina, insegnanti delle scuole regie.

Malgrado la fascistizzazione delle principali istituzioni italiane, avvenuta in pochissimi anni come testimoniano i documenti d’archivio, sono diversi gli esuli antifascisti che transitano in quegli anni in Turchia. Alcuni vi si trasferiscono stabilmente. Tra questi va menzionata una tra le figure principali della comunità italiana di Istanbul del periodo tra le due guerre mondiali: Ezio Bartalini. Socialista, antimilitarista e massone, Bartalini è negli anni Trenta il principale intellettuale italiano residente in Turchia non iscritto al Fascio italiano di Istanbul.

Chi è Ezio Bartalini? Nasce a Monte San Savino, piccolo comune in provincia di Arezzo in Toscana nel 1884. Nel 1903, a soli 19 anni, fonda La Pace, primo periodico antimilitarista italiano di stampo marxista. Dopo svariate  aggressioni, persecuzioni e minacce di morte, Bartalini abbandona l’Italia nel 1923 per recarsi dapprima in Francia, poi in Inghilterra, poi nuovamente a Parigi. Espulso dalla Francia nel 1927, dopo una breve sosta a Bruxelles, si trasferisce nell’autunno dello stesso anno in Turchia.

BARTALINI È probabilmente tra le figure più interessanti tra gli italiani che risiedono sulle rive del Bosforo nei primi anni della repubblica di Turchia. Il primo anno a Istanbul è segnato da una fallimentare esperienza come allevatore nel sobborgo di Erenköy. Qualcosa finalmente cambia nel 1928 quando ottiene una cattedra di lingua e letteratura francese presso l’American Collegiate Institute di Göztepe.

L’esule toscano inizia allora un percorso intellettuale e culturale che gli permette di ottenere, solamente qualche anno più tardi, la prima cattedra di lingua e letteratura latina nella riformata Università di Istanbul.

L’integrazione nella società istanbuliota avviene in poco tempo grazie a un processo di iniziale distacco dalle questioni politiche italiane e un’attiva partecipazione alla vita culturale turca. L’interesse verso la rivoluzione culturale kemalista è alimentato dalla stima di cui gode in ambienti vicini al presidente Atatürk.

La scheda su Bartalini redatta dalla prefettura di Genova

Gli scritti raccontano di un Bartalini affascinato dalle riforme della giovane Turchia repubblicana, una società nella quale l’intellettuale toscano è capace di ritagliarsi un ruolo da protagonista. Bartalini è un uomo capace di coltivare importanti relazioni: dall’allora delegato apostolico Angelo Roncalli (il futuro papa Giovanni XXIII) al console generale Mario Badoglio fino a Mustafa Kemal Atatürk.

Il lungo soggiorno turco di Bartalini è raccontato da una ricca produzione letteraria: tantissimi gli articoli pubblicati con l’utilizzo di vari pseudonimi sul Messaggero degli Italiani, il giornale della comunità italiana di Istanbul diretto dal levantino Gilberto Primi, e su Beyoglu, il giornale francofono dalla comunità levantina di Pera. La figura di Bartalini resta centrale nella storia della comunità italiana di Turchia. È tra i pochi intellettuali italiani a dedicarsi con passione – e indipendenza dalla sezione fascista locale – nella diffusione della cultura italiana nella Turchia kemalista.

L’ARMISTIZIO dell’8 settembre 1943, con cui l’Italia entra in guerra con gli Alleati della seconda guerra mondiale, dà il via alla defascistizzazione politica, sociale e militare dell’Italia. Quando il 9 settembre a Roma si forma il Comitato di Liberazione Nazionale (Cln), Bartalini fonda a Istanbul il Comitato Italia Libera facendosi interprete tra gli italiani del Bosforo del nuovo corso democratico e antifascista.

E nel 1945, una volta liberata l’Italia, Bartalini torna finalmente nel suo paese dopo 22 lunghi anni di esilio. Stabilitosi a Roma aderisce al Partito Socialista Italiano con cui viene eletto l’anno successivo come deputato alla Costituente. Nel 1947 si trasferisce in Toscana dove riorganizza il partito, rifonda il giornale La Pace e scrive per i principali quotidiani nazionali.

L’attività politica e culturale di Bartalini si concentra lungo gli anni Cinquanta alla costruzione del Movimento della Pace di cui diventa dirigente. Mantiene strette relazioni con Istanbul sostenendo economicamente studenti e intellettuali turchi socialisti stretti dalla morsa liberticida del governo atlantista guidato da Adnan Menderes.

MUORE NEL 1962 durante una riunione della Consulta della Pace dopo una vita trascorsa in esilio nel segno dell’antifascismo. La figura di Bartalini resta una preziosa e rara testimonianza di un intellettuale socialista impegnato in Levante nella costruzione di una cultura laica e democratica tra gli italiani di Istanbul.

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Tra processi e fughe, oggi si resiste ancora

La resistenza contro ogni tipo di oppressione fa parte della storia della Repubblica di Turchia. Un Paese laboratorio di politiche nazionaliste, religiose e anti comuniste. Un Paese che ha vissuto tre colpi di stato, uno «soft» e uno respinto.

Come il golpe del 1980 anche quello fallito del 2016 ha portato a un sistema di repressione che ha nei fatti distrutto lo stato di diritto. E oggi in Turchia è difficile parlare di divisione dei poteri con un governo ultranazionalista e conservatore che controlla magistratura, tanti media e una buona parte dell’economia.

In questo quadro lo spazio e la libertà di chi si oppone al regime sono ridotti al minimo. Malgrado ciò, milioni di persone ingarbugliate tra processi kafkiani e linciaggi mediatici cercano ancora di resistere. Sono i numeri a raccontarci di questa resistenza pacifica e civica: oltre 1500 avvocati sotto processo, più di 100 giornalisti, 9 parlamentari, 60 sindaci e 70 mila studenti dietro le sbarre.

Durante lo stato d’emergenza, dal 2016 al 2018, sono stati chiusi 178 mezzi di comunicazione di massa e circa 1500 associazioni non governative. Di fronte a tanta repressione sono migliaia le persone che hanno lasciato la Turchia. Secondo l’Eurostat, le domande di asilo inoltrate da cittadini turchi in Unione Europea sono aumentate del 500 percento dal 2015 fino ad aprile 2020.

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