Scortato da decine di agenti dei reparti di massima sicurezza, il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Muhammad Shtayyeh, due giorni fa ha raggiunto Jenin, città simbolo della resistenza armata, e nel campo profughi ha preso parte ai riti funebri per Muhammad Turkman responsabile di un attacco contro un autobus di soldati nella Valle del Giordano. Shtayyeh è apparso accanto a Fathi Khazem, padre dei fratelli Raad e Abdel Rahman Khazem, entrambi uccisi da Israele (il secondo è stato autore di una sparatoria a Tel Aviv che ha fatto tre morti). Il premier ha pronunciato un discorso come se fosse il capo della lotta armata in corso da settimane contro l’esercito israeliano. «L’occupazione militare non vuole la pace» ha proclamato, «piuttosto ogni giorno alimenta la campagna elettorale (israeliana) con il sangue palestinese…ma il sangue dei nostri martiri non sarà vano. L’oscurità delle prigioni che pagano i nostri prigionieri non sarà vana. Questa lotta è un lungo percorso e Jenin guida l’unità sul campo». Parole che hanno attirato l’attenzione di alcuni commentatori israeliani, tra cui Elor Levy del quotidiano di destra Maariv. «Non ricordo una foto di un primo ministro palestinese al fianco di combattenti», ha scritto, aggiungendo con sarcasmo «questa è la migliore ricetta per calmare la piazza».

Levy guarda le cose dal punto di vista israeliano ma, a conti fatti, non è lontano dalla realtà. L’Anp del presidente Abu Mazen, anche attraverso performance ultranazionaliste come quella messa in atto da Shtayyeh a Jenin, sta facendo il possibile per calmare la situazione e tenere a freno il Battaglione Jenin e «Areen al Aswad» (Fossa dei Leoni), le due principali organizzazioni che, con l’approvazione della maggioranza dei palestinesi, si oppongono, mitra in pugno, alle incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania. In questi giorni hanno rivendicato attacchi contro postazioni militari e l’uccisione di un soldato. Non è un caso che sia sparito dai riflettori il numero due (di fatto) dell’Anp, Hussein Sheikh, considerato troppo coinvolto in rapporti con Israele per dialogare con i comandanti dei gruppi armati. Nell’Anp pensano di poter gestire la situazione evitando che sfoci in una ampia Intifada armata contro l’occupazione israeliana che finirebbe per allargarsi a tutta la Cisgiordania.

Pochi però credono al successo del tentativo dell’Anp, fragile e, da anni, contestata anche per la cooperazione di sicurezza con Israele. Un fallimento potrebbe aprire la strada all’operazione militare israeliana più ampia da venti anni a questa parte – sul modello di Muraglia di difesa del 2002 – con la rioccupazione della old city e Balata a Nablus e del campo profughi a Jenin, le basi dei combattenti palestinesi. Il primo ministro israeliano Yair Lapid ha tenuto un incontro di emergenza su «Areen al Aswad», durante il quale ha discusso con i capi della sicurezza e il ministro della difesa Gantz le prossime mosse da compiere a Nablus e Jenin.