L’«anomalia selvaggia» che i partiti fanno ancora fatica a digerire
Toni Negri in parlamento – foto Wikipedia
Cultura

L’«anomalia selvaggia» che i partiti fanno ancora fatica a digerire

Attivo maestro Le reazioni dal mondo della politica: il ministro Sangiuliano rispolvera il cliché del «cattivo maestro»
Pubblicato 11 mesi faEdizione del 17 dicembre 2023

Molti hanno saputo della sua morte da un post Instagram dela figlia Anna, regista e autrice, che qualche anno fa aveva dato alle stampe un libro che racconta in forma spietata e tenera cosa ha significato restare con un piede impigliato nella grande storia collettiva di cui suo padre, Toni Negri, è stato uno dei protagonisti.

Se n’è andato nella notte tra venerdì e sabato, a Parigi, dove era tornato dopo la scelta del rientro in Italia, per finire di scontare la sua pena nel carcere di Rebibbia. Da lì, nel giro di qualche anno, si era trasferito in una bella casa a Trastevere, che era stata del regista Pasquale Squitieri. Poi era andato a Venezia. Erano gli anni del grande successo internazionale di Empire, dei movimenti globali e della ritrovata libertà.

Eppure, ieri, mentre attivisti e militanti di diverse generazioni ieri lo ricordavano assieme a ricercatori e accademici di mezzo mondo, la politica italiana forniva la rappresentazione plastica dell’incapacità di fare i conti con l’anomalia selvaggia rappresentata dal suo pensiero e dalle lotte in cui si è forgiato.

Così, il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, si è affrettato a precisare che «fu un cattivo maestro perché, dopo il ’68, il passaggio dal movimentismo giovanile alla pagina buia degli anni di piombo, con il terrorismo di destra e di sinistra, causò tante vittime innocenti. In termini giuridici, poi, una cosa è l’espressione delle idee, un’altra è la pratica materiale della violenza».

Negri era stato deputato, eletto nel 1983 con 13 mila preferenze nelle liste radicali. Si era candidato per protestare contro gli anni di carcerazione preventiva che avevano colpito lui e i suoi compagni.

Ricorda Mario Capanna che era in parlamento con Democrazia proletaria: «I deputati del Msi decisero di organizzarsi per non farlo entrare alla Camera. Noi di Dp ne proteggemmo l’ingresso: non farlo entrare sarebbe stata una prevaricazione antidemocratica». Tra i pochi coi quali socializzava in aula, raccontava Negri, c’erano l’indipendente di sinistra Stefano Rodotà e il suo antico compagno veneziano Massimo Cacciari. Il quale oggi auspica che «si possa discutere delle posizioni politiche di Toni, speriamo seriamente. E non solo sul piano della cronaca».

Pierferdinando Casini sente il bisogno di dire che «la sua storia in Parlamento non fu una bella pagina». Il che fa capire che la misura della crisi italiana è data anche dal fatto che la politica faccia ancora fatica a misurarsi con la sua figura.

C’è qualche eccezione a sinistra. «Era mio docente di Dottrina dello Stato, a Scienze politiche di Padova, geniale e instancabile, esigente e rigoroso – dice Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera – La sua persona e la grande produzione di pensiero troveranno la giusta collocazione nella storia che liquiderà l’etichetta di ‘cattivo maestro’».

Il segretario di Si Nicola Fratoianni ricorda gli anni di Genova: «Per partecipare al dibattito del movimento dovevi aver letto il suo ultimo libro – afferma – Una generazione che ha letto il mondo con le categorie con cui l’ha raccontato Toni Negri, filosofo e comunista». E Maurizio Acerbo, segretario del Prc, ricorda che Negri «aveva sperato nella rifondazione della sinistra italiana dentro un nuovo ciclo di lotte».

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