«Avancez, s’il vous plaît!», avanti, prego, grida Anna Negri, la figlia di Toni, piazzata in mezzo alla cappella laica del Père Lachaise, il cimitero parigino nel quale, ieri, si è celebrato l’addio al filosofo e militante scomparso il 16 dicembre scorso. L’abbondante centinaia di sedie approntate nella sala non bastano ad accogliere gli astanti, che si assiepano ai lati della cappella, o addirittura dietro il feretro, sulle scale dell’altare.

IN PRIMA FILA, i famigliari, le figlie Anna e Nina, il figlio Francesco, la compagna Judith Revel, guidano la cerimonia accompagnate da tanti vecchi e giovani compagni e compagne accorsi per l’occasione. La presenza di generazioni differenti salta all’occhio immediatamente: ci sono giovani delle lotte di oggi, rappresentanti dei movimenti degli anni 2000, colleghi universitari e compagni di militanza degli anni ’70. Ci sono militanti dei movimenti studenteschi, c’è Luca Casarini, c’è Oreste Scalzone che si alza per fare un video col telefono, c’è Michael Hardt, collega e co-autore con Negri di Impero, Moltitudine, Comune, e Assemblea.

LA CUPOLA della cappella, all’insegna della laicità, invoca un quadrato simbolico composto dalle parole Sperare, dolor, amor, memoria. Al microfono, si susseguono interventi che ricalcano questo percorso – il percorso di un padre, di un nonno, di un militante e di un filosofo. Fili difficili da dipanare, che ciascuno evoca insieme ai propri ricordi personali, inestricabili gli uni dagli altri.

ALISA DEL RE, teorica femminista e professoressa alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova, ricorda la capacità di Toni Negri di « riconoscere i soggetti del cambiamento quando ancora in fase embrionale» e la lucidità nel riconoscere la necessità di cambiare «lo stato di cose presente». Michael Hardt ricorda la sua traiettoria filosofica e politica, da Marx a Spinoza a Leopardi, la «gioia» che l’animava nel partecipare alle lotte, vero elisir anti-vecchiaia: «Toni è sempre stato molto giovane», dice, tra gli applausi commossi del pubblico. Sandro Mezzadra, compagno di lotte e professore all’università di Bologna, promette che questo appuntamento sarà solo il primo di una lunga lista, per riflettere collettivamente sul pensiero di Negri. Anna ricorda il «senso della dignità» che le ha insegnato il padre, mentre Judith Revel rammenta «l’odio totale, assoluto, viscerale per la guerra» che animava il filosofo.

NINA NEGRI, al microfono, avverte che metterà una «canzone», «che parla di lui», la descrive come «un film le cui immagini saranno diverse per ciascuno e ciascuna di voi», poi cala il silenzio e si alza la melodia: è l’ouverture del Flauto magico di Mozart.

Le note si spandono nella sala. Mano a mano, i sorrisi sui volti si espandono, si tirano, i nasi si arrossano, le persone si voltano a guardare i propri vicini, conosciuti o meno, scambiandosi cenni di riconoscimento, l’emozione satura l’aria e la frase in origine sibillina della figlia assume tutto il suo significato: ognuno «vede» qualcosa in questa melodia di Toni Negri, qualcosa di differente, ma proprio per questo compatibile, coerente col ricordo degli altri.

Qualche ora dopo, in un bar di Ménilmontant è stato approntato un rinfresco e l’ambiente è stato decorato per l’occasione con delle foto di Toni Negri. Il bar è pieno. Oreste Scalzone prende il microfono, intona l’inno di Potere Operaio, seguito dai presenti: «è nato il partito / dell’insurrezione…» Dietro di lui, su di un tavolino, campeggia una foto del filosofo scomparso. È seduto a una panchina, in un parco, fa bello. Sorride, sembra divertito.