Quando si parla o si scrive di animazione giapponese, le prime immagini che vengono in mente sono inevitabilmente legate a serie animate o lungometraggi di un certo tipo, quelle che solitamente vengono accomunate al termine «anime». In realtà e come è naturale che sia, l’animazione non è un genere ma un medium, esistono anche nel Sol Levante moltitudini di stili animati diversissimi fra loro. Dalla stop motion di Tadanari Okamoto e Kihachiro Kawamoto, artisti attivi nel corso del secolo scorso, all’animazione più sperimentale di Koji Yamamura o di Mirai Mizue, fino a quella sognante e fantastica, e forse poco conosciuta, realizzata da Shigeru Tamura.

CIRCA trent’anni fa usciva in Giappone Ginga no uo (Ursa Minor Blue), un mediometraggio animato, realizzato anche grazie a tecniche di animazione digitale ancora agli inizi, diretto, scritto e animato da Tamura. Illustratore, mangaka e artista che comincia la sua attività creativa sulle pagine della rivista cult «Garo» negli anni settanta, Tamura da lì in poi si specializzerà soprattutto nella realizzazione di libri illustrati e brevi animazioni.
Tutta la sua produzione, cartacea o animata che sia, è caratterizzata da un forte elemento sognante, quasi da realismo magico verrebbe da dire, e fortemente ispirata, per ammissione dello stesso autore, anche dalle opere degli scrittori giapponesi Taruho Inagaki e Kenji Miyazawa. Da questi due autori il nostro mutua un forte interesse per storie che spesso hanno a che fare con l’astronomia e la fantasia, che Tamura trasforma e fonde abilmente in una sorta di astronomia fantastica.
Visto oggi, Ursa Minor Blue non perde niente della sua forza creativa, attraverso una storia apparentemente semplice, un vecchio ed un ragazzo che cercano un mostro marino, manifestazione di movimenti celesti, Tamura crea un mondo che si avvolge su se stesso come un nastro di Moebius, dove cielo e mare, stelle e pesci si trasformano l’uno nell’altro quasi senza soluzione di continuità. Il tratto dei disegni ricorda per certi versi e fatte le dovute distinzioni, quello de Le avventure di Tintin di Hergé. Mentre il tono lievemente onirico, scarno, lento e carico di silenzi, è affine a quello usato ne La tartaruga rossa, lungometraggio animato diretto nel 2016 da Michaël Dudok de Wit e co-prodotto dallo Studio Ghibli. Sempre per restare nelle vicinanze della casa di produzione giapponese, la creazione di un mondo fantastico, fortemente spopolato, retto da leggi proprie e su toni pastellati, ha certe assonanze con alcuni cortometraggi realizzati da Hayao Miyazaki quali Kujiratori o Hoshi wo katta hi.

LA POETICA sviluppata in Ursa Minor Blue, continua cinque anni dopo con Kujira no choyaku (Glassy Ocean), secondo mediometraggio che Tamura adatta da un suo soggetto originale. Siamo ancora sul mare, questa volta il mondo e le vicende create dall’artista giapponese si svolgono in un interstizio del temporale. Il corso del tempo si blocca e le onde e tutto il mare si trasformano in una distesa di vetro color smeraldo. Dei pescatori che abitano questo istante infinito vanno a caccia di pesci rompendo il vetro del mare a picconate e vedono e si fermano ad ammirare un’enorme balena impegnata nel suo salto.
L’informale trittico di lavori animati di Tamura si conclude nel 1999 con A Piece of Phantasmagoria, e resta al momento l’ultimo suo lavoro in immagini in movimento. Tamura, ora più che settantenne, continua comunque, dal giro di millennio in poi, ad espandere i suoi mondi e le sue idee fantastiche principalmente nelle pagine dei suoi libri illustrati.

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